Last updated on Ottobre 9th, 2012 at 08:52 pm
Ungaretti fu il primo poeta “ermetico” acclamato fin dal suo rivelarsi durante la Prima guerra mondiale, quando pubblicò il volumetto “Il Porto Sepolto”. Quei versi spogli e casti, scabri e lineari, contrapponendosi all’oratoria dannunziana, ricercavano la semplicità nella vita e nell’arte. Da quell’evento prende le mosse il saggio “Ungaretti” di Antonio Saccone, ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università Federico II di Napoli, che ricostruisce un’avventura umana e letteraria appartenente alle vette più alte della cultura europea del Novecento (Salerno, pp., 300)
– Professor Saccone, Ungaretti frequentò in gioventù Parigi, dove conobbe Apollinaire, Valery e Gide e frequentò Soffici, Papini e Palazzeschi. Che cosa significò quella esperienza?
«Fu un’esperienza destinata a lasciare tracce significative nella sua formazione tanto da spingerlo a parlare della Francia come della sua patria d’elezione. Quella di Papini, suo entusiasta mallevadore, fu una delle prime recensioni al libro d’esordio, «Il Porto Sepolto», che contribuì a far circolare il nome del giovane Ungaretti. Apollinaire rimarrà uno dei suoi autori-culto, inserito nel Pantheon dei suoi antenati. Valéry, ideatore di “una lirica dell’intelletto”, sarà ammirato come erede di Leopardi».
– Quale il suo rapporto poetico col Recanatese?
«Leopardi è, con Petrarca, il nume tutelare di Ungaretti. Gli interventi dedicati all’autore dell’Infinito sottolineano la sostanza filosofica del suo poetare. Nel tempo delle veloci mutazioni, non percepibili se non per frammenti, il modello leopardiano, scriverà l’ultimo Ungaretti, è il più attuale tra quelli trasmessi dalla tradizione del moderno. Comporre poesia è possibile ormai solo attraverso espressioni mutile, ricche di quell’indeterminatezza predicata e praticata da Leopardi».
– Ungaretti vive un lacerante contrasto tra bellezza e orrore.
«Sul nesso bellezza-rovina, motivo-chiave di molti versi di “Sentimento del Tempo”, interverrà a più riprese e in varie stagioni della sua esperienza letteraria. Nel saggio su Góngora individua nell’endiadi “bellezza e orrore”, nel “sentimento della catastrofe” che ne deriva, il motivo che accomuna barocco e poesia moderna».
– Come affronta, Ungaretti traduttore, la sfida della “intraducibilità”?
«Ungaretti dichiara l’intraducibilità della poesia: idea paradossale se confrontata con l’ingente mole delle sue traduzioni. Ma è proprio l’impossibilità di trasferire da una lingua a un’altra il “segreto” di un’opera poetica, la sfida impervia che non può non attrarre un poeta».
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