Last updated on Ottobre 1st, 2012 at 04:30 pm
Èstato rappresentato per la prima volta al National Theatre di Londra nel 2004 ed è stato finalmente pubblicato in Italia, dopo esservi stato messo in scena, “Gli studenti di storia” (The History Boys), il pluripremiato testo teatrale di Alan Bennett. Con la sua ironia, con la sua prosa lieve e profonda, scintillante e paradossale, lo scrittore inglese delinea con rara maestria la condizione umana, scardina piccole e grandi certezze, mostra la miseria delle aspirazioni di promozione sociale, l’angustia degli orizzonti, ma soprattutto impartisce una lezione sulla storia, sulla casualità degli eventi che procedono a strappi e a salti, sul caos a cui s’impone una formalizzazione a posteriori.
Teoria e rappresentazione drammatica si rispecchiano vicendevolmente e l’una spiega l’altra. Il caso, che domina la storia, padroneggia anche i destini degli individui e delle piccole comunità.
Negli anni Ottanta di Margaret Thatcher, otto studenti della classe media, tre professori e un preside interagiscono tra loro durante un corso di preparazione agli esami di ammissione alle prestigiose ed esclusive università di Oxford e Cambridge. Quegli atenei costituiscono il simbolo di un’ascesa sociale e culturale, la stessa a cui aveva aspirato l’autore da giovane. E tra gli studenti ce n’è uno impacciato e imberbe, innamorato di un compagno, che lo rispecchia. Con gli occhi disincantati dell’adulto quelle aspirazioni diventano oggetto di una satira feroce, che non risparmia nessuno, neanche il professore Hector, anticonformista e omosessuale. Egli, innamorato della magia della parola e sostenitore di un apprendimento libero da ogni utilità immediata compresi gli esami, è inviso al preside, un pragmatico che coglie l’occasione per liberarsene: il docente era stato visto mentre palpava un allievo a cui aveva dato un passaggio in moto. Tutto accade per la tirannia del caso.
“Innanzitutto, – dice la professoressa Lintott – la moglie del preside non va a fare volontariato il mercoledì, a meno di non dover sostituire qualcuno. Mettiamo che mentre Hector era fermo al semaforo fosse entrato un cliente e l’avesse distratta. Mettiamo che il semaforo fosse stato verde. Tutto ruota attorno al più piccolo dei casi, alla combinazione di un impressionante numero di variabili, ciascuna con le sue conseguenze.”
Se non credete alla tirannia del caso anche nella grande storia, eccovi un paio d’esempi eccellenti raccontati dallo studente Darkin. Nel 1940, quando Chamberlain si dimise, a succedergli era stato designato Halifax non Churchill. Ma il pomeriggio decisivo Halifax preferì andare dal dentista. “Se Halifax avesse avuto i denti sani, magari avremmo perso la guerra.”
La casualità l’ha fatta da padrona anche nella nomina del mitico generale Montgomery, il vincitore della battaglia decisiva di El Alamein. In un primo momento gli era stato preferito Gott, ma l’aereo su cui questi tornava a casa fu abbattuto per caso da un caccia tedesco.
Il caso che domina le vicende umane, resta pur sempre un modo di vedere maschile. Più dissacrante è il punto di vista della professoressa Lintott: “La storia è il commento alle varie incapacità degli uomini. E’ la processione delle donne che li seguono col secchio e lo straccio.”
Bennett non risparmia neanche gli storici da programma televisivo come Irwin, il qualche spiega agli studenti che la storia “è perfomance. E’ spettacolo. E quando non lo è fate in modo che lo diventi.”
“Un giorno – dice di lui l’allievo Scripps – in TV aveva spiegato che l’attacco a Pearl Harbor in realtà aveva sorpreso nel sonno i giapponesi, e il vero colpevole era stato il presidente Roosevelt.”
Bennett predilige i ritratti dei caratteri femminili, quella ritrosia apparente e silenziosa, quella mediocrità voluta, che in realtà è una forza sotterranea capace di fare girare il mondo a suo piacimento. “Una delle molte gioie della vedovanza era non dovere più recitare la parte della mogliettina incapace”, dice lo scrittore della protagonista di uno dei due lunghi racconti di “Due storie sporche” (Adelphi, pp.135, euro 16). Nel primo la signora Donaldson, rimasta vedova a 55 anni, lavora come simulatrice di malattie per le esercitazioni degli studenti in una clinica universitaria. Le finzioni e i dialoghi sfociano in invenzioni comiche straordinarie. Ogni simulatrice ha le sue specializzazioni. “Negli anni miss Beckinsale si era data da fare per annettere territori confinanti come l’afasia, l’amnesia, l’ictus e altre disfunzioni cerebrali. ‘La mente i suoi gravami’ amava ripetere.”
La signora Donaldson è una donna sola, vive un’esistenza grigia, prosieguo di un vita matrimoniale altrettanto noiosa, ma subisce una scossa quando decide di affittare una stanza a coppie di studenti. Le si apre un mondo inatteso e qualcosa nella sua vita comincerà a vibrare.
Nell’altro racconto proviamo compassione per Betty, moglie ricca ma bruttina di un uomo bellissimo che si caccia nei guai per un’avventura omosessuale. Lei senza apparire scioglie ogni nodo, si prende la rivincita su tutti, compresa la suocera che la riteneva inadatta al figlio, e fa girare a suo piacimento il piccolo universo che la circonda. Nulla è come appare, ma tutti in apparenza sono felici. In questa storia c’è qualcuno più potente del caso, ed è la donna.
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