Last updated on Ottobre 5th, 2012 at 05:28 pm
La società postmoderna, tecnologicamente attraente ed invadente, ha realizzato, nel corso della sua breve esistenza storica, un netto processo di negazione e rifiuto dell’atto del fidarsi.
“Fidarsi” è il prodotto italiano del latino fido,-is. Quest’ultimo, come confido,-is (“confidare”), appartiene alla classe dei verbi semideponenti, aventi l’innata qualità di presentare un significato attivo sia nei tempi derivati dal presente, sia in quelli derivati dal perfetto, pur cambiando quella che è la loro forma (attiva nel primo caso; passiva nel secondo).
Il fidarsi è in primo luogo un fi-dare, “dare fede”. Esso, nei secoli, è divenuto segno distintivo e peculiare della religiosità universale. La fiducia ha oramai acquisito il carattere di valore, frutto del rap-presentare umano che ha agito imponendo un “valutare”, un “far violenza da sé”. Oggi siamo incosapevolmente consapevoli dell’utopico componente presente all’interno dell’atto del fidarsi, sempre più lontano dall’essere considerato atto concreto. Viviamo, in maniera viscida e poco sofisticata, in un cosmo disordinato, in cui la non connessione atto/fatto risulta “scienza senza dogmi”.L’atto non è più demiurgo. Non è più il fautore del fatto. L’atto del fidarsi non è più in grado di farsi fatto. A
bbiamo tutti presente il famoso motto “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. Ciò che non si riesce a comprende è cosa ha spinto “l’unico”, il soggetto uomo, al non fidarsi. Se fidarsi è bene, è bene non distaccarsene. Ma l’ente umano è umano proprio in quanto incapace di accontentarsi. Ha ancora senso parlare di un “fi-darsi” nell’epoca dell’automazione dei processi tecnologici? “L’artificiosità del fi-darsi” è senza dubbio una delle caratteristiche primordiali del fidarsi stesso. Fidarsi, cioè, non risulta essere un “fi-darsi” libero, incondizionato, naturale. Dare fiducia e avere fiducia si attraggono. Diamo fiducia pretendendo di ricevere (avere) fiducia.
L’artificiosità paradossalmente è incondizionata proprio in quanto non condizionata alla naturalità dell’incondizionato. Consapevolmente o meno, nel momento in cui diamo fiducia al prossimo, vogliamo ricevere dal nostro “altro”, il prossimo, ciò che abbiamo donato. In questo senso prende forma un determinato circolo vizioso impossibile all’apparenza da neutralizzare. Il risultato negativo, e talvolta nocivo, partorito dal gioco del dare/avere ha trasportato l’umanità della post-modernità su un terreno in cui a trionfare è ciò che devasta quel “circulus vitiosus”, ciò che non permette l’attivarsi del meccanismo dare/avere: il non fidarsi. Quando il mio dare all’altro non è più il mio ricevere dall’altro tutto inevitabilmente si esaurisce, si spezza.
Così, attraverso l’esperienza storica, l’uomo si è trovato a fare i conti con il suo essere ego-ista. L’egoismo è dunque “demone per il fi-darsi”; è il suo nemico più brutale. L’egoismo è figlio della consapevolezza della non riuscita del gioco del dare/avere fiducia. La società del non fidarsi reagisce all’illusione del fi-darsi, preferendo rifugiarsi nella sospensione della fiducia. L’illusione è data dal progressivo rendersi conto che si da senza mai effettivamente ricevere. Così si giunge ad una totale “non fiducia” verso sé. Il passaggio dal non fi- darsi al non auto-fi-darsi è palesemente testimoniato, per fare alcuni esempi pratici, dall’abuso di bevande alcoliche e di sostanze stupefacenti, potenti simboli di una grave perdita di contatto con la propria interiorità.
Il non riuscire a dare fiducia al proprio “sé” è il nichilismo contemporaneo, destinato a perdurare ancora a lungo.