Last updated on Ottobre 3rd, 2012 at 11:55 am
Il bellissimo scenario naturale che incorniciava il paesino fondato nel 1636 da Don Rutilio Xirotta fu ciò che ne suggerì, con molta probabilità, il nome: Montevago, un nome per un luogo da sogno. Un sogno che, dopo trecento anni, si è trasformato in incubo, quell’incubo che la notte del 15 gennaio 1968 rase al suolo non soltanto la cittadina, ma l’intero circondario. Ma una scenografia impareggiabile come questa difficilmente può essere sostituita, così i cittadini ricostruirono il loro paese poco più in là, lasciando che le nuove costruzioni crescessero vicini ai ruderi della vecchia Chiesa Madre, oggi edificata secondo architetture più moderne.
Più moderno tutto il paese, con ampie strade e le piazze ben intervallate di verde e di ampi spazi aperti, sempre molto attaccati alle proprie tradizioni – semmai, ancor di più dopo il terremoto – i montevaghini che, per fortuna, hanno potuto recuperare molta parte dei tesori artistici conservati nella vecchia Chiesa Madre dedicata ai santi Pietro e Paolo, traslocandoli nella nuova. E così, come all’interno della nuova chiesa si mostrano in tutta la loro antica bellezza il secentesco Crocifisso ligneo e il quadro cinquecentesco della Vergine, davanti all’eterno panorama del basso Belice si ergono le nuovissime opere d’arte come il “Sole deposto” di Giò Pomodoro, “L’abbraccio” di Lorenzo Cascio, o come i fantastici mosaici di Marin Deaconu. Quello che non è cambiato, che è rimasto tale e quale a ciò che fu prima del 1968 è – oltre alle terme – la qualità della terra, una qualità che è genitrice dell’incredibile enogastronomia del luogo.
A cominciare dai fichidindia (esportati da queste colline fino in Canada!), i cui colori rosso e giallo punteggiano tutta la campagna circostante, arricchendo di tratti naif quel magnifico paesaggio che è il bosco Magaggiaro, 850 ettari di natura incontaminata all’interno dei quali sorge un’opportuna area attrezzata per un momento di sosta o per una domenica fuori porta. Qui è possibile anche cucinare, utilizzando le apposite strutture in pietra e usando – sarebbe follia farne a meno – i prodotti locali quali l’olio, il Doc Nocellara del Belice, che nella sua “versione” extravergine ha un gusto davvero straordinario; il vino, che ha fatto guadagnare a Monvetago l’appartenenza ad una delle nove Strade del Vino Doc in Sicilia; oppure l’originale ed unica “Vastedda del Belice”, un formaggio fatto con il latte di pecora, dalla tipica forma piatta e schiacciata e dal sapore sorprendente.
E non è finita qui, perché adesso si passa ai dolci: a base di ricotta – che ricordiamo qui essere freschissima – ci sono i cassateddi e i cannoli, oppure i Cuddureddi di prescia, ripieni di conserva, e i dolci tipici del periodo novembrino (ma si possono mangiare tutto l’anno, non è affatto vietato!), i frutti di martorana, tipici dolcetti dalle più svariate forme (la frutta è solo la forma più tradizionale) fatti con la pasta di mandorle. Non sono dolci, ma si mangiano con la stessa golosità, i muffuletti, morbidi panini odorosi di spezie e semi di finocchio che si mangiano caldi, conditi con un filo di olio locale e innaffiati con il buon vino del paese. Credeteci sulla parola: un pranzo da re! Se volete avere un’idea di ciò che può offrire Montevago, non potete perdere la sagra del vino e dei prodotti tipici che si svolge ogni anno in ottobre, e se amate le feste tradizionali, ecco altre due date: quella del 2 luglio, quando si festeggia la Madonna delle Grazie, e l’8 agosto, giorno dedicato al patrono di San Domenico.
In questa occasione viene portato in processione “lu Prisenti”, il luogo drappo gonfalone del paese che ha nei suoi mirabolanti ricami un riassunto di questa arte che ancora si tramanda di madre in figlia tra le donne del paese. Donne che non mancano di stupire concittadini e turisti il 19 marzo, per la ricorrenza di San Giuseppe, imbandendo per strada i tradizionali “Tavuliddi di San Giuseppe”, vere e proprie tavolate ricche di ogni ben di Dio offerte a chiunque voglia prendervi parte.
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