Last updated on Ottobre 9th, 2012 at 08:57 pm
È un meraviglioso accidente, perdersi – nel vero senso della parola – in questo declivio. Dentro un verde rigoglioso nonostante l’afa, tempestato di ulivi e di vigneti che raccontano di viti e di vite millenarie. Una distesa di filari pazienti scende con dolcezza.
Una curva, una strettoia, una ripida discesa e poi un altro tornante ancora. Fin quando la natura, che non si stanca mai di sorprenderti, apre una finestra sull giallo delle dune selvagge e irregolari. Che ti guidano dritto a quel luccichio blu, con l’orizzonte che si apre su un mare limpido e riottoso. Sembrano i frammenti di un doppio viaggio dell’anima: le colline del Chianti e poi, quasi appiccicate, le spiagge della Sardegna ma depurate dai mega-resort e vippume annesso. Ma siamo in Sicilia. E abbiamo percorso pochissimi chilometri, sempre dentro il recinto del medesimo “paradiso” di vigne e di mare. Quello di Menfi, estremità agrigentina che resta abbracciata con orgoglio alla Valle del Belice.
Appena lasciato il centro del paese, ci si tuffa subito nelle onde dei record. «Il più bello di Sicilia», si vantano qui mentre il sole accarezza il litorale di Porto Palo e di Lido Fiori. Quest’anno, per la sedicesima volta, a Menfi piantano la “Bandiera blu”: il primo riconoscimento fu assegnato nel 1992 e dal 1998 è uno sventolio continuo, che incorona il mare pulito, le spiagge incontaminate e la qualità dei servizi. Ed è arrivata, due anni fa, anche la “Bandiera verde” dei pediatri italiani, che hanno inserito Porto Palo fra le 25 spiagge italiane “a misura di bambino”.
Questo rincorrersi di premi non ha lasciato indifferente il turismo. Soprattutto quello più chic, degli amanti del mare senza se e senza ma. «Veniamo qui da due anni e stiamo pensando di comprare casa, anche se i prezzi ultimamente sono un po’ fuori controllo», ammette Guido Morselli, manager bolognese in vacanza con moglie e due figlie. E non ha torto, questo distinto signore che smanetta col blackberry. Anche perché trattasi della legge della domanda e dell’offerta: se da un lato cresce il numero di persone incantate dal mare e dall’enogastronomia (+157% dall’alba del Duemila, secondo il Rapporto annuale sul turismo Ciset-Irpet 2011, con il Comune che parla di presenze decuplicate, da 8mila a 88mila), ma dall’altro le strutture ricettive restano quelle degli anni pre-boom. L’unico resort a quattro stelle non ha ancora aperto («Cominciamo dopo l’8 luglio, siamo in ritardo», si scusano alla reception), restano un paio di alberghetti sul mare, qualche b&b, molti affittacamere e soprattutto il business delle case private. I prezzi? «Da duemila fino a cinquemila euro al mese per le ville con la piscina», è la quotazione sul lungomare. «Ma è proprio questo aspetto selvaggio – riprende il turista bolognese – che attira. L’assenza di calca e turismo di massa è un valore aggiunto e se c’è da spendere qualche cento euro in più lo si fa volentieri».
Ma spiegalo, agli operatori turistici del luogo. Per i quali il fascino primitivo è più che altro sinonimo di abbandono. «Siamo senza servizi e senza un’offerta dignitosa per i turisti». E dire che alla solitudine c’è abituato, Vittorio Brignoli. Lui, bergamasco doc, nel 1967 aprì una baracca sulla spiaggia di Porto Paolo, dove si cucinava il pesce appena arrivato dalle barche. Macellaio mancato, s’innamorò prima di Franca e poi Menfi. E non se n’è più andato. Oggi quella baracca è il più rinomato ristorante della costa, gestito assieme ai quattro figli, con una decina a pochi metri dalla sabbia. «Vengono qui, mangiano, bevono e poi? Non c’è un evento, non c’è un’iniziativa né per i giovani né per le famiglia», si lamenta il settantenne mentre si accarezza i lunghi capelli.
La conferma arriva anche da un altro operatore: Gaspare Colletta, che la sera lascia la moglie Anna Rita Gugliotta al bancone del chioschetto assieme a due delle tre figlie femmine (l’ultima ha poco più di un mese, ma appena potrà sarà anch’essa d’aiuto…) e si mette a cantare al pianobar sulla piazzetta. «Cerco di trasformare una mia passione in un richiamo per i turisti, anche perché qui, dopo i bagni in un mare stupendo, la sera scappano tutti». Anche lui si lamenta: «Mancano i servizi nella passeggiata a mare, i bagni ecologici». Ma fa subito autocritica: «La natura ci ha dato un patrimonio inestimabile, ma non abbiamo la cultura turistica. Non c’è un consorzio, tutti cercano di fare i soldi affittando le case, ma i prezzi sono talmente alti che molti turisti preferiscono soggiornare negli alberghi fuori Menfi e venire a mare qui. Non siamo riusciti nemmeno a fare un accordo per un menu turistico e spesso bar e ristoranti fanno i prezzi… guardando in faccia il cliente. E magari se scoprono che è straniero lo bastonano di brutto».
Insomma, non è tutto oro (blu e verde) quel che luccica: in questo pezzo di paradiso siciliano s’invoca un altro salto di qualità. Più volte accarezzato ma sempre rinviato il progetto del porto turistico: utile secondo molti a incrementare le presenze, ma «incompatibile con il modello di turismo naturalista» secondo altri.
Eppure di passi in avanti ce ne sono stati, in questi ultimi anni. Un investimento sulla qualità del mare e sull’ambiente: Melfi è al settimo posto nella classifica siciliana dei “Comuni ricicloni” per percentuale di raccolta differenziata; anche se i servizi nelle zone di mare lasciano a desiderare, tant’è che l’amministrazione comunale ha diffidato la ditta che gestisce il servizio perché i cassonetti di Porto Palo traboccavano di rifiuti alla vigilia della stagione estiva. C’è anche un ambizioso progetto: l’ostello della gioventù, sempre a Porto Palo, per il quale il Comune ha pubblicato un bando in cui cerca partner per recuperare un immobile abbandonato utilizzando il 70% di fondi europei. C’è infine la pista ciclabile da Porto Palo a Sciacca, il cui prolungamento è stato finanziato dalla Regione con 3 milioni di euro.
Ma gli operatori non sono soddisfatti, vorrebbero di più. «Qui c’è un tesoro – sbotta ancora Brignoli – ma non lo sappiamo sfruttare. Anche gli ospiti del resort col campo da golf di Sciacca, così come molti che soggiornano alle Terme, vengono a cenare da noi. Così come un indotto eccezionale lo porta Diego Planeta, che s’è sinceramente legato a questi posti. Ma sono iniziative dei privati, che si stimano fra loro e si aiutano col passaparola. Senza due o tre persone qui sarebbe un deserto… ». Vittorio usa il nome (anzi: il cognome) “magico”. Il “re del vino”, insignito della cittadinanza onoraria di Menfi, proprio qualche giorno fa in occasione della diciassettesima edizione di “Inycon” (dal nome della Menfi sicana), una festa che unisce vino e cibo, mare e cultura. E il cavaliere Planeta, che qui continuano a chiamare “il Presidente” nonostante il 70enne abbia lasciato la guida dell’azienda a familiari e manager, ci apre un altro mondo. Quello che qui chiamano “la Fiat del vino”: due cantine fra le più importanti di Sicilia, più altre piccole ma di grande qualità. Un’offerta – quella delle strade del vino – che fa il paio con le spiagge delle bandiere. Già, perché oltre a impegnare a vario titolo il 70% delle cinquemila famiglie («La vite è vita», dicono da queste parti), l’enologia moltiplica il fascino di Menfi nei confronti dello stesso target di turisti che la scelgono per il mare incontaminato. Soltanto che in questo caso si accasano in collina, così come hanno fatto decine di stranieri, comprando e ristrutturando casolari e vecchie cascine. Tempo di Menfishire, o quasi. E sono in buona compagnia: «Qui il mare è vicino ma lontano – sbotta l’oste-pescatore Brignoli – perché sono rimasti tutti contadini, alcuni latifondisti e quasi tutti massari».
E se lo dice un vecchio bergamasco che cucina una minestra d’aragosta da dio, è davvero il caso di fidarsi. O no?
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