Last updated on Ottobre 1st, 2012 at 03:57 pm
Cultura | La democrazia rappresentativa, così come è, dopo la legge «porcata» calderoliana, non ci piace. Quella legge mi fa ricordare lo storico tedesco Otto Seeck (1850-1921), il quale, tra le cause della caduta dell’impero romano, individuava «la selezione naturale alla rovescia», cioè la progressiva cooptazione dei peggiori e la complementare «eliminazione dei migliori». Che è quanto avvenuto nel parlamento italiano, dove siedono fedeli servitori di questo o quel capopartito. E i cittadini, che sono i veri titolari della scelta dei candidati, secondo il dettato costituzionale, sono relegati al ruolo di spettatori passivi di giochi fatti altrove. Anche nell’Atene del V e del IV secolo la moltitudine era guidata da élites.
Pertanto la definizione che Tucidide dà della democrazia nell’età periclea – «di nome era una democrazia, di fatto però il potere era nelle mani del primo cittadino» – non è un paradosso, bensì la pura constatazione della lunga durata di Pericle al potere (fu eletto nel collegio dei dieci strateghi per quasi quarant’anni ininterrotti).
Con la consueta dovizia di informazioni, precise, documentate, perché fondate su una conoscenza puntuale delle fonti, letterarie ed epigrafiche, dimostra le aporie della democrazia antica – ma anche delle sue moderne incarnazioni – Luciano Canfora nel suo ultimo, recente libro, «Il mondo di Atene», Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 518, euro 22. In queste pagine Canfora dà sistemazione completa e, si direbbe, definitiva alle assidue e rigorose ricerche che, lungo cinquant’anni, conduce sulle istituzioni politiche della Grecia antica e, segnatamente, su quel convulso periodo che va dall’«invenzione della democrazia», di quella democrazia che, unica nel mondo greco, resistette, quasi ininterrottamente, per oltre centocinquant’anni, nel 509/08 (riforme di Clistene), al 338 a.C., quando Atene e altre poleis greche subirono a Cheronea i colpi micidiali delle falangi di Filippo II il Macedone.
La cornice degli avvenimenti più inquietanti che scossero lo scenario politico ateniese fu l’immane conflitto, che tra il 431 e il 404 a.C. mobilitò tutti i greci. Con un «convitato di pietra» sempre in gioco: il regno di Persia.
Ma già prima scontro verbale e scontro fisico avevano convissuto. Perché la democrazia «non è un pranzo di gala». Infatti, da Efialte, capo del partito democratico, che nel 461 aveva quasi del tutto esautorato l’Areopago, principale organo del partito oligarchico, riducendone la competenza ai delitti di sangue, e che qualche tempo dopo fu assassinato in circostanze mai del tutto chiarite, a Frinico, uno degli artefici dell’effimero colpo di stato oligarchico del 411, anch’egli assassinato nel 410, la storia di Atene è il lungo rosario di una lotta politica senza quartiere, che agitò la democrazia durante tutte le sue declinazioni, con aspre lacerazioni, congiure, corruzioni, delazioni, processi politici, tradimenti, ostracismi, cambi di campo (clamoroso quello di Alcibiade che, accusato della mutilazione delle erme alla vigilia della spedizione contro Siracusa, nel 415, passa agli Spartani).
Perché gli oligarchici non se ne stavano a guardare. Come quel Crizia, che, pur non approvando la democrazia, nel libello «Sul sistema politico ateniese» giustifica quella costituzione in quanto necessaria agli interessi delle classi dominanti, ma fa di tutto per abbatterla. Riuscendoci una prima volta, ma per poco tempo, nel 411, una seconda volta dopo la sconfitta patita da Atene contro Sparta, nel 404. Instauratosi il regime sanguinario dei Trenta Tiranni, Atene ne subirà la violenza per meno di un anno. Ma quella democrazia, che, restaurata nel 403, vedeva fantasmi ovunque, tanto da condannare a morte perfino l’uomo più giusto di Atene, Socrate, non sarà la stessa di prima. Saranno riedificate le Grandi Mura nel 394, «nuovo inizio di una seconda nuova avventura imperiale». Ma non sarà lo stesso impero che finì per diventare lo spauracchio delle poleis contraenti, riducendole sempre più al ruolo di suddite di Atene. Atene era ormai una polis come le altre. Ma l’aristocratico Demostene (384-322 a.C.), avverso ai programmi della democrazia radicale, cullava ancora sogni di grandezza, puntando sulla necessità di creare attorno ad Atene «un progetto politico di dimensione internazionale» con la Persia. L’impero persiano era però in disfacimento e «lo spirito dei tempi» soffiava in favore di Filippo. Morto Demostene, la pietra tombale calerà pure sulla democrazia ateniese.
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