Last updated on Ottobre 1st, 2012 at 03:56 pm
Ci furono echi costantiniani nel 1937, nel corso delle celebrazioni per il bimillenario dell’imperatore romano Augusto. Roma in quegli anni ripercorreva le vie africane dell’impero, il duce aveva firmato nel 1929 i Patti Lateranensi con il Vaticano, e per di più, per singolare coincidenza, la marcia su Roma era avvenuta il 28 di ottobre del 1922, lo stesso giorno della vittoria di Costantino su Massenzio, che nel 312 aveva suggellato la conversione dell’imperatore e la libertà di culto per i cristiani. Il fascismo sfruttava a fini propagandistici quella svolta epocale, tentando di inserirsi nel solco dei restauratori dell’Europa cristiana.
Tra i tanti che denunciarono e smascherarono il gioco opportunista, preferiamo Georges Bernanos, il più insospettabile in quanto era cattolico e monarchico. Lo scrittore francese risiedeva a Palma di Maiorca nel 1936, quando ci fu la rivolta del generalissimo Francisco Franco, appoggiato da Hitler e Mussolini, contro il governo repubblicano democraticamente eletto. Suo figlio, tra l’altro, era tenente della Falange. Bernanos, nonostante l’avversione a Stalin, provò ripugnanza per le persecuzioni, le violenze, i massacri, e la disumanità, ma soprattutto perché tutto ciò era giustificato in nome della fede. Ne scaturì la prosa vibrante, piena di interrogativi taglienti e angosciati, di un capolavoro come “I grandi cimiteri sotto la luna” (1938), un impietoso atto d’accusa contro la guerra civile spagnola. Per instaurare il terrore e dirigere l’epurazione era arrivato a Palma dall’Italia tale conte Rossi, un gerarca fascista. La carneficina, spesso immotivata, avveniva con la complicità dell’arcivescovo. La fede di Bernanos non viene mai scalfita, ma la sua coscienza è smarrita, “per lo sfruttamento beffardo dei princìpi e dei principi che non so più come servire. La cristianità ha fatto l’Europa. La cristianità è morta. L’Europa sta per crepare, c’è niente di più semplice?” Lo scrittore presagiva l’ulteriore immane massacro che si stava preparando con la seconda guerra mondiale, da cui l’Europa sarebbe uscita purificata grazie alla sconfitta di nazismo e fascismo. Dopo il crollo del comunismo, nell’Europa unita il tema delle radici cristiane è stato per alcuni anni al centro del dibattito politico italiano. Per ingraziarsi il voto cattolico e ottenere la benevolenza delle gerarchie vaticane, politici cattolici e di matrice fascista chiedevano che la Costituzione europea si richiamasse esplicitamente alle radici cristiane. Ancora una volta la religione è stata usata per calcoli elettorali, e la complessità di un tema banalizzata in slogan e petizioni di principio.
Così si svilisce una problematica, anche perché, proprio risalendo alle origini, si nota come la grande svolta non sia avvenuta per mero calcolo di potere. L’evento decisivo per la vittoria del cristianesimo sul paganesimo non fu dettato da una scelta opportunistica.
E’ quanto dimostra un grande storico dell’antichità, il francese Paul Veyne, nel libro sulla conversione di Costantino: “Quando l’Europa divenne cristiana (312-394)”, edito da Garzanti. La prima constatazione ovvia è che l’imperatore non aveva alcuna convenienza a scegliere la religione praticata da una minoranza, appena un decimo, dei suoi sudditi. Proprio per non urtare la maggioranza pagana, la sua fu la fede personale del capo di uno Stato pagano. Operò sempre per favorire la Chiesa, ma senza mai imporre le proprie convinzioni. Agendo con moderazione tuttavia avviò la cristianizzazione dell’impero, unificato nel 324 dopo la vittoria su Licinio. Per la disfatta del partito pagano bisognerà ancora attendere la battaglia del fiume Frigido nel 394. Nel frattempo con Giuliano l’Apostata, il cristianesimo aveva rischiato la sconfitta.
Cosa aveva attratto Costantino? Innanzitutto la superiorità della religione cristiana su quella pagana. Con la conversione l’esistenza di ogni individuo non era più quella tra due oscurità, ma acquisiva un significato eterno all’interno di un piano cosmico. Riguardo all’imperatore, scrive Paul Veyne: “la sua conversione gli consentiva di prendere parte a ciò che considerava un’epopea soprannaturale, assumendone la guida e assicurando così la salvezza all’umanità.” E ancora: “Costantino era convinto di essere stato scelto per decreto divino a giocare un ruolo provvidenziale nell’economia millenaria della salvezza.”
Nemico di ideologismi e sociologismi, Paul Veyne sostiene che la fabulazione religiosa non sottende alcuna utilità, è fine a sé stessa e non ha altro scopo al di fuori della propria soddisfazione. Perciò la conversione di Costantino fu sincera e disinteressata, non fu il calcolo di un ideologo che mirava a legittimare il proprio potere come riflesso della monarchia celeste.
Lo storico, in un breve ma intenso capitoletto finale, affronta il problema delle radici cristiane dell’Europa. E’ vero, abbiamo interiorizzato la morale e la spiritualità cristiana. Dovunque l’architettura ci ricorda la grandiosità dell’Europa cristiana. E’ certo che la viviamo e la respiriamo. Tutto ciò però appartiene al nostro patrimonio, le radici, ammesso che sia un concetto storicamente valido, sono altra cosa. L’Europa di oggi è generata dall’Illuminismo, dalle rivoluzioni francese e americana, dall’egualitarismo politico e sociale che è sfociato nel Welfare State. L’ideale cristiano di carità e fratellanza semmai ha preparato il terreno.
“Quale rapporto – scrive Paul Veyne – abbiamo ancora con San Bernardo di Chiaravalle, con l’amore divino, la penitenza, la vita contemplativa, la mistica, la Rivelazione minacciata dalla filosofia, il primato del potere spirituale imposto ai re, la predicazione della seconda crociata? La nostra Europa attuale è democratica, laica, sostenitrice della libertà religiosa, dei diritti dell’uomo, della libertà di pensare, della libertà sessuale, del femminismo e del socialismo e della riduzione delle diseguaglianze. Tutte cose estranee e talvolta in contrasto con il cattolicesimo di ieri e di oggi.”
Come si vede il problema delle radici è troppo complesso per lasciarlo alle semplificazioni della politica. E in ogni caso bisognerebbe essere coerenti fino in fondo, a costo di sfidare l’impopolarità come Costantino e Bernanos.
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