Last updated on Ottobre 1st, 2012 at 03:51 pm
È stato posto alla riflessione comune un tema ‘strutturale’ che, tuttavia, è stato derubricato nel novero dei nodi successivi rispetto a quelli economico-finanziari. È il grande tema della cultura. Lo ha fatto Il Sole 24 Ore proponendo, attraverso un attento documento dall’emblematico titolo “Niente cultura, niente sviluppo”, una vera e propria Costituente per la cultura.
Il documento programmatico muove dalla necessità di superare la rappresentazione del patrimonio culturale quale ‘giacimento’ – in quanto tale ingombrante e costoso – per aprire alla prospettiva che la cultura e la conoscenza costituiscono non uno strumento quanto al contrario l’essenza “per il consolidamento di una sfera pubblica democratica, per la crescita reale e per la rinascita dell’occupazione”.
Opportunamente si dà una definizione ampia di “cultura” vale a dire l’intreccio dinamico e interattivo fra educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza. Altrettanto dicasi per lo “sviluppo” inteso non in termini economicistici e che si misuri esclusivamente in termini di Pil quanto come “valorizzazione dei saperi, delle culture”, nell’intento – fortemente politico – di qualificare la capacità di “guidare il cambiamento”.
Sarebbe oltremodo facile, al riguardo, richiamare alla memoria le recenti espressioni dell’allora ministro Tremonti in merito alla cultura che non dà da mangiare. Cogliamo, al contrario, l’incisivo segno di discontinuità. Ancora più forte se consideriamo la fonte – editoriale e non solo – del manifesto programmatico, l’Associazione degli imprenditori, ed il riferimento che in quella stessa pagina si fa alla fase della ricostruzione postbellica – De Gasperi alla inaugurazione della ricostruita Scala di Milano – per rappresentare plasticamente il senso incisivo dell’intreccio cultura/sviluppo.
Ed ancora, la cultura non quale ‘accademia’ bensì “l’azione pubblica” che sappia “radicare a tutti i livelli educativi dalle elementari all’università lo studio dell’arte e della storia per rendere i giovani i custodi del nostro patrimonio” così che sappiano e possano guardare al futuro. Il che non significa rinunciare alla cultura scientifica, che dovrà essere opportunamente incrementata. Significa superare la dicotomia – spesso intrisa di ideologismo – fra cultura umanistica e scientifica.
Nel merito, muovendo dalla considerazione che cultura e ricerca innescano innovazione la quale, di converso, sta a fondamento del progresso e dello sviluppo, il manifesto impegna ad affrontare in modo organico e sistemico il problema così che diventi il tema del governo non lasciando la ‘linea’ a Ministeri, spesso strutturati quali seconde linee e votati alla sopravvivenza ovvero alla marginalità: “la cultura deve tornare al centro dell’azione del governo. Dell’intero Governo”. Solo in tale prospettiva, infatti, si potrà favorire ogni forma di sperimentazione che si fondi sulla cooperazione fra ministeri – cioè gangli dinamici dello Stato – e che punti a “ripristinare i necessari collegamenti fra Nord e Sud, fra centro e periferie”. Vale a dire, anche, fra articolazioni del sistema istituzionale (centrale e territoriale) che non configgano bensì interagiscano, che non rivendichino ma operino nella prospettiva dell’interesse comune e del territorio di riferimento.
È un tema centrale, peraltro, in una Regione a Statuto speciale che, anche nel settore del patrimonio culturale, ha finito per rivendicare la specificità (in termini di competenza esclusiva) piuttosto che la interazione centro-periferia nella prospettiva non della titolarità dello specifico bene patrimoniale in esame quanto del bene comune.
Il segno della novità, a cui si è accennato prima, lo si coglie, a ben vedere, nella risposta al manifesto ‘Costituente per la cultura’ dei ministri Ornaghi, Passera e Profumo – vale a dire dei beni culturali, dello sviluppo economico e dell’istruzione – pubblicato anch’esso sulle pagine del 24 Ore.
I rappresentanti del governo colgono il senso profondo del manifesto così da rimarcare che “le prospettive di ripresa e di tenuta della coesione sociale sono legati a processi virtuosi di cambiamento che scaturiscono e sono guidati, se vogliono farsi fondamenta solide di sviluppo duraturo, soprattutto da una spinta di natura culturale”. L’intreccio cultura/sviluppo è evidenziato e incardinato, sulla necessità di un a radicale inversione di tendenza rispetto “alle politiche degli ultimi decenni che hanno portato scuola, università, beni culturali a una crisi senza precedenti e talora, occorre riconoscerlo, la vero e proprio collasso”. Parole nette ed assolutamente condivisibili nell’analisi a cui dovrebbero seguire oltre alla proposizioni, condivisibili, della nota ministeriale altri segnali. I ministri, infatti, sostengono a chiare lettere che è arrivato, senza possibilità di appello, il momento di “restituire a ogni livello di istruzione, dalla scuola elementare all’università, una capacità di formazione di alto livello, che consenta ed agevoli il ricambio delle classi dirigenti”. Non guardano a tale prospettiva secondo ottiche dirigiste imperniate sulla tecnicalità. Al contrario, pongono una prospettiva di spessore: “la cultura e la conoscenza chiedono attenzione e partecipazione da parte dell’intera comunità ed in primis dello Stato, chiamato ad assumere un ruolo di coordinamento e di garanzia”. Fanno riferimento alla prospettiva che a generare cultura siano “cortocircuiti che avvengono nella rete sociale” e si appellano al protagonismo dei cittadini attraverso reti di interazioni fra essi stessi.
Ne viene fuori un appello ad una cultura che non si risolva – spesso implodendo – nel richiamo identitario quanto sia elemento dinamico e laico di cittadinanza.
In una prospettiva siffatta risulta coerente il richiamo che giunge dai ministri a tutte le istituzioni ed agli operatori della conoscenza perché possano cogliere questo abbrivio d innovazione che giunge dallo Stato il quale, opportunamente, non dovrà intervenire direttamente quanto favorire lo “sviluppo armonico” delle prospettive.
È una rivoluzione copernicana, come si legge nel manifesto della Costituente? È prematuro esprimere un esito definitivo, di certo è un forte segno di novità che riconsegna ai cittadini, alla società, nelle sue varie articolazioni, la titolarità del protagonismo civile.
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