Last updated on Ottobre 1st, 2012 at 03:43 pm
Un mese fa moriva Vincenzo Consolo, autore che ha avuto come tema costante la Sicilia, ossessione vitale per la sua arte nelle accensioni mescidate della lingua e nei percorsi narrativi. Da “Il sorriso dell’ignoto marinaio” (1976) a “Il corteo di Dioniso” (2009) la reiterazione del “viaggio”, storico-letterario o reale, attraverso i luoghi dell’isola e le sue millenarie vicende, allinea dalla preistoria ad oggi una sequela di epoche, fatti, figure che, in un brulichio di vite e di “naufragi”, restituiscono il “rovescio” dell’esistenza umana di contro ogni scenografica apparenza o illusoria idealità.
La morte, il vuoto, il silenzio marcano per Consolo l’agire dell’uomo, illusionistico “conato” sempre travagliato e troppo spesso “efferato”, che sfocia “nell’immota eternitate”.
La Sicilia “terra antica degli dei, delle arti, delle conquiste e disastrosi avanzi” appare osservatorio privilegiato di disinganni soggettivi e sconfitte di generazioni. Pur ponendosi l’isola con le vestigia del suo passato (Pantalica, Ispica, Mozia, Segesta, Selinunte, Palermo, Cefalù, Siracusa) alle origini stesse della Civiltà e al centro del mondo mediterraneo, nei secoli è venuta decadendo per fame e schiavizzazione dei ceti popolari, prevaricazioni baronali e clericali, ingiustizie dei poteri statuali, violenze della mafia, saccheggio e degrado del territorio, involgarimento del costume. Il viaggio a ritroso scatta nello scrittore per disagio e rifiuto del presente e insegue il “sogno” tutto letterario di una autenticità e identità perdute. Il che non riguarda solo la condizione siciliana, ma tutto l’orizzonte vitale alienato della modernità occidentale come emerge pure dalla dialettica passato/presente dei racconti “Nerò Metallicò” e “Il teatro del sole” riediti ne “Il corteo di Dioniso”.
Nel primo l’autore ironizzando sulla banalizzazione consumistica del turismo e dell’8 marzo, si rifugia, complici un cratere di bronzo del museo di Salonicco e la visita alla città di Dion, nelle suggestioni di un corteo dionisiaco e nel ricordo scolastico de “Le Baccanti” di Euripide, dove i miti affini di Demetra e di Dioniso incarnano la primordiale religiosa inchiesta dell’uomo sul mistero della vita e della morte e sull’invasamento poetico.
Nel secondo l’allucinata sfilata storica per la piazza dei Quattro Canti di Palermo, dal fulgore abbagliante dei periodi arabo, normanno, svevo ai tempi ferrei degli spagnoli e degli inquisitori, alla peste del ‘700, alla malavita attuale, fa da pretesto all’armonico “assemblaggio”, per inganno d’Arte, di pezzi di monumenti e di paesaggio siciliani in un presepe commissionato dal Comune di Parigi. Ancora una Sicilia “favola fuori del tempo” sullo sfondo di una Parigi invernale scossa da scioperi e traffico caotico mentre la voce narrante recita: «Cantano i bimbi e scoppia il tritolo… Parlo della Sicilia o parlo di questo mondo? E la Natività estatica e i sorrisi infantili ritessono il sonno/sogno di ogni inizio, l’illusione effimera della rigenerazione».
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