Camillo Perini, classe 1887 di Pola, aviere e combattente nel 1912 sui cieli del fronte russo, serbo e italiano. A fine guerra va a dare una mano alla Polonia in una delle ultime guerre romantiche, dove un popolo chiede di esistere anche sulle mappe geografiche del vecchio continente. Insieme ad un piccolo manipolo di uomini di diverse nazionalità ed etnie fonda l’aviazione polacca in un tempo in cui gli aerei erano di balsa e cartone e le bombe venivano liberate a mano. Viaggia su un aereo di costruzione tedesca, con un equipaggio costituito da un meccanico ceco ed un osservatore polacco. A lui si uniscono piloti dai nomi e dai volti leggendari, i classici tombeur de femmes delle cartoline d’epoca, di nazionalità italiana, americana, francese, inglese e non ultima polacca e che costituiranno il mitico squadrone Kòsciuszko. Nel contempo in cui le forze di Stalin premono a nord la sua squadra sgancia bombe da cinque kilogrammi, respingendo le forze ucraine fino a sud di Leopoli. Lui, italiano austro/ungarico, parla tedesco, dà ordini in polacco e bestemmia in italiano. E’ forse una delle ultime volte, insieme alla guerra civile di Spagna, che l’Europa si lascia infiammare da una buona causa e in cui dei giovani scelgono di combattere per la libertà di un popolo.
E’ la stessa Europa che oggi ci dice che stiamo combattendo una guerra di trincea contro un nemico invisibile (perché è questo che sono diventate le corsie d’ospedale), ma è un’Europa che non si rende assolutamente conto che le vittime, a fine guerra, si conteranno anche sui non infetti, sugli asintomatici e tra i sopravvissuti. L’Europa di Shenghen, che ci ha regalato la libertà di muoverci valicando i confini con una semplice carta d’identità (e a volte neanche quella) e di Bolkenstein, volta alla creazione di un mercato libero dei servizi, che di contro ha massacrato i diritti dei lavoratori e dei professionisti dell’Unione stessa. Un’Europa voluta da padri fondatori, animati dallo stesso spirito che animò Camillo Perini, ma che oggi è guidata da un manipolo di uomini e donne votati solo agli interessi economici dei grossi gruppi bancari e assicurativi, più che a quelli unitari che fanno di una moltitudine un popolo. Nessuno può comprendere quanto mi costa dirlo, da europeista convinto.
La catastrofe è imminente e ce ne renderemo conto quando, tra qualche mese, tenteremo di rimettere insieme i cocci di un lockdown, utile ed inevitabile, che ha costretto all’inattività imprese, artigiani e liberi professionisti, motore reale delle varie economie nazionali.
L’obolo che in questi giorni hanno promesso di elargire, facendolo passare come una manovra economica da grandi statisti, non è sufficiente neanche alla spesa giornaliera per un’intera famiglia, figuriamoci se potrà sostenere gli studi di architettura anche solo nelle spese ordinarie: bollette di luce, telefono, canoni di locazione, abbonamenti per uso di software etc… Un obolo che, ahimè, non sarà neanche per tutti. Infatti, la cassa professionale elargirà questa misera elemosina solamente a coloro che in questo decennio di crisi congiunturale sono riusciti ad essere in regola con il versamento dei contributi (impresa a dir poco funambolica). In un’economia di guerra tutti devono essere aiutati, affinché ognuno possa essere di aiuto al prossimo, senza distinzione alcuna.
Lo dimostra la storia: durante le guerre i migliori reparti sono stati composti da mescolanze di uomini perbene e gaglioffi della peggiore specie reclutati anche dentro le carceri. La regolarità contributiva non può essere un parametro di discriminazione in un momento di emergenza reale del paese. Gli ordini tutti, le consulte, i vari consigli nazionali dovrebbero immediatamente fare fronte comune chiedendo l’immediata revisione di un provvedimento che rischia, a termine della quarantena, di fare più vittime dello stesso virus. Tanti, infatti, saranno i colleghi impossibilitati a riavviare le proprie attività. Non ci venga raccontato che i fondi sono insufficienti.
La sola INARCASSA ha un patrimonio immobiliare, gestito da INARCASSA.RE, tra i più solidi del territorio italiano. Patrimonio che oggi dovrebbe essere utilizzato per aumentare la liquidità del fondo di previdenza, anche a favore di tutti quei soggetti non in regola con i versamenti dei contributi previdenziali. Il valore complessivo del fondo immobiliare è stato, nel 2018, pari a € 1.300.000.000 (unmiliardoetrecentomilioni) e ha distribuito proventi pari a € 32.000.000 (trentaduemilioni). Non bisogna dimenticare che alla costituzione di questo patrimonio hanno in parte contribuito anche coloro che, a seguito della crisi decennale del comparto edilizio, hanno dovuto interrompere i versamenti previdenziali, dovendo scegliere tra dar da mangiare alla famiglia o sostenere un sistema fiscale sempre più iniquo ed oppressivo. Una fascia ampia di professionisti che nel tempo, grazie alla famigerata direttiva europea Bolkenstain, che ha equiparato l’attività intellettuale a quella di libera impresa, è stata tagliata fuori anche dal mercato delle commesse pubbliche. Che si è dovuta barcamenare nel più ampio e complesso mercato dell’edilizia privata, nella maggior parte dei casi non remunerativo, in quanto legato al mercato fluttuante dell’immobile. Un mercato reale, non di indici borsistici legati a flussi di denari virtuali che viaggiano su canali informatici. Un mercato fatto di lacrime e sangue dei piccoli investitori, dei piccoli artigiani e dei liberi professionisti. Professionisti che oggi vengono additati come evasori e cancrena sociale e quindi immeritevoli anche di un aiuto di stato, in un momento di crisi mondiale dove è in gioco la sopravvivenza di ogni singolo essere vivente. Professionisti che oggi, immeritatamente, sono e saranno ultimi.
Perché anche se era Ringo a dettare il ritmo alla fine la gente ricorda solo Jonh e Paul.