A partire da gennaio 2018 su tutto il territorio dell’Unione Europea è entrata in vigore la normativa cosiddetta MiFid II, che si poneva l’obiettivo di migliorare il rapporto tra i tre attori principali del mercato finanziario: i risparmiatori, i consulenti finanziari e gli enti che erogano i prodotti. Nonostante le novità erano state accolte con iniziale scetticismo da parte degli addetti ai lavori, dopo un breve periodo di rodaggio le norme contenute nella nuova regolamentazione non hanno impedito lo sviluppo dell’attività commerciale e finanziaria, ma hanno costituito una buona opportunità, soprattutto per quei prodotti a gestione passiva come gli ETF.
Gli Exchange Traded Funds, conosciuti con l’acronimo di ETF, sono fondi d’investimento a gestione passiva, che corrisponde nel mercato azionario ad un paniere di titoli. Quando un risparmiatore decide di investire denaro negli ETF, affianca i propri risparmi a quelli degli altri investitori, demandando al gestore l’acquisto di strumento attraverso l’utilizzo di quel denaro. Con cadenza prestabilita, il gestore traccia il bilancio degli investimenti, che sarà dato dalla somma algebrica degli andamenti di tutti i singoli strumenti compresi nel fondo. Poiché si tratta, però, di gestion passive, gli ETF non subiscono le conseguenze delle oscillazioni del mercato, ma replicano in piccolo l’andamento di un singolo indice o di singole asset class. Il gestore in questo caso, al contrario di quanto accade con i fondi attivi, non è vincolato nell’acquisto dei prodotti e non limita di conseguenza la performance alla sua abilità, ma si “affida” all’andamento di incidi e asset prescelti.
Alla luce delle caratteristiche tipiche degli ETF, la normativa MiFid II è stato un ottimo assist per una parziale trasformazione dei mercati. A fronte di una maggiore attenzione da parte dei consulenti delle necessità dei clienti e quindi – di conseguenza – al bisogno di maggiore trasparenza e di contenimento dei costi – si sta passando gradualmente ad un modello di consulenza a parcella, ponendo sotto la lente d’ingrandimento soprattutto sugli ETF. Questo fenomeno, come evidenziato dall’head Emea di iShares Stephen Cohen, è evidente anche in Italia, dove l’interesse si è moltiplicato con il tempo soprattutto per i mandati discrezionali e i prodotti unit linked.
Poiché la direttiva fa luce sui costi e sulla trasparenza del rapporto con il consumatore, gli investitori stessi sono facilitati nella scelta dei consulenti e delle piazze di trading, ottenendo sia un risparmio sui profitti che una comunicazione più lineare e senza omissioni. I vantaggi dell’introduzione della MiFid II non sono però limitati a questo: aumentando infatti la trasparenza degli scambi su base ETF, gli investitori hanno intuito che, poiché la mole degli scambi cresce a vista d’occhio, tale strumento può essere ritenuto efficace ed affidabile. Con la MiFid II è anche aumentato del 25% il numero dei market maker e degli ecosistemi di trading, che facilitano il compito agli investitori. In virtù del numero sempre crescente di investitori che si affidano agli ETF, secondo le stime di Euronext, in tutta l’area europea si scambieranno a fine 2018 2.3 trilioni di dollari americani, di cui gran parte giustificati dai fondi a gestione passiva.
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