Una «realtà nascosta» per l’ultimo report della Fao. Ma anche un dramma quotidiano in troppe parti del mondo, non esclusa l’Europa. Si parla dell’inquinamento dei suoli, un fenomeno difficile da osservare e spesso perfino da circoscrivere. L’unica stima globale, risalente agli anni ’90, quantifica in circa 22 milioni di ettari i terreni esposti a contaminazioni nel mondo. Calcolo ottimistico, ritiene la Fao, in base a riscontri più recenti. Il governo cinese, ad esempio, ipotizza che il 16% dei suoli e il 19% dei suoi terreni agricoli siano inquinati. Nell’area economica europea sarebbero invece circa 3 milioni i siti potenzialmente contaminati.
Su un punto convergono tutti gli studi: l’origine del problema è di natura antropica. Le attività industriali e minerarie, i rifiuti domestici e zootecnici, l’uso di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti e le emissioni dei trasporti concorrono più di ogni altro fattore. Ma preoccupano anche i cosiddetti «inquinanti emergenti», come prodotti farmaceutici, interferenti endocrini, rifiuti elettronici e materie plastiche. Solo in Europa l’industria chimica ha realizzato nel 2015 319 milioni di tonnellate di prodotti. Di questi, ben 117 milioni di tonnellate sono stati giudicati pericolosi per l’ambiente.
Non va meglio se consideriamo l’incremento dei rifiuti solidi urbani, che da circa 1,3 miliardi di tonnellate annue nel 2012 dovrebbe aumentare di 2,2 miliardi di tonnellate per anno entro il 2025. O l’utilizzo di pesticidi, esploso nell’ultimo decennio nei Paesi in via di sviluppo.
La via d’uscita c’è, ma come spesso accade non è la più comoda da imboccare. Ridurre i rifiuti, contrastare l’abuso di pesticidi nell’agricoltura intensiva, promuovere pratiche agronomiche virtuose non è certo la risposta che molti vorrebbero sentire, e tuttavia è l’unica in grado di tutelare i suoli e la sicurezza alimentare.
Gaetano Pascale
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