Pierfrancesco Favino, attore e conduttore del Festival di Sanremo 2018, ha recitato un monologo tratto dall’opera teatrale La notte poco prima della foresta del drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès. Il monologo di Favino, che parla delle difficoltà di adattamento di uno straniero, è stato uno dei momenti più apprezzati di tutta la serata finale. Oltre alla bravura di Favino c’entrano anche alcuni fatti di cronaca dell’ultimo periodo. Proprio ieri a Macerata si è tenuta una partecipata manifestazione per protestare contro i movimenti neofascisti e razzisti.
Sulla emigrazione si discute in Italia da moltissimi anni, evidentemente con valutazioni diverse in rapporto al mutamento nel tempo delle condizioni sociali, economiche e politiche. Ha rilevato E. Enriquez Agnoletti: “Dall’unità d’Italia non meno di 26 milioni di italiani hanno abbandonato definitivamente il nostro Paese. E’ un fenomeno che, per vastità e costanza e caratteristiche, non trova riscontro nella storia moderna di nessun altro popolo. Di più, è un fenomeno che, nonostante le enormi trasformazioni del Paese, anche recenti, e le trasformazioni sociali culturali economiche e politiche dell’Europa ancora più del mondo, si è mantenuto ad altissimo livello”.
Eppure ci troviamo a leggere sui social, anche in alcuni post condivisi da concittadini menfitani, commenti e riflessioni che trasudano di intolleranza e discriminazione.
Nel monologo di Favino a parlare è un uomo straniero, interpretato da Favino con un accento che ricorda quello africano, che parla della sua ricerca di un posto in cui sentirsi finalmente a casa, e dell’impossibilità di raggiungerlo. L’uomo racconta di essere stato allontanato da tutti i posti in cui aveva deciso di fermarsi: ogni volta gli è stato detto che non poteva stare lì, e che per lavorare sarebbe dovuto andare da qualche altra parte.
Quando lascio un posto, ho sempre l’impressione che quello sarà casa mia sempre di più di quello in cui vado a stare. Quando ti prendono a calci in culo di nuovo, e tu te ne vai di nuovo, là dove te ne vai sarai sempre più straniero.
L’obiettivo di queste persone, spiega il personaggio, è quello di respingerlo tante volte da riuscire a mandarlo in un posto abbastanza lontano, in cui non possa più dare fastidio: il Nicaragua, per esempio, che è descritto nella seconda parte del monologo come un posto ostile e pieno di soldati. «Da tutte le parti è la stessa cosa», dice il personaggio.
Il monologo di Favino si è concluso quando sono entrati sul palco Fiorella Mannoia e Claudio Baglioni, che hanno cantato “Mio fratello che guardi il mondo” di Ivano Fossati.
GUARDA IL MONOLOGO
Il testo del monologo di Pierfrancesco Favino
Bisognerebbe stare dall’altra parte senza nessuno intorno, amico mio
quando mi viene di dirti quello che ti devo dire, stare bene tipo sdraiati sull’erba, una cosa così
che uno non si deve più muovere con l’ombra degli alberi.
Allora ti direi: ‘qua ci sto bene, qua è casa mia, mi sdraio e ti saluto’.
Ma qua, amico mio, è impossibile, mai visto un posto dove ti lasciano in pace e ti salutano.
Ti dobbiamo mandare via, ti dicono, vai là, tu vai là
vai laggiù, leva il culo da là
e tu ti fai la valigia, il lavoro sta da un’altra parte,
sempre da un’altra parte che te lo devi andare a cercare,
non c’è il tempo per sdraiarsi e per lasciarsi andare, non c’è
il tempo per spiegarsi e dirsi ‘ti saluto’.
A calci in culo ti manderebbero via, il lavoro sta là, sempre più lontano, fino in Nicaragua.
Se vuoi lavorare, ti devi spostare, mai che puoi dire ‘questa è casa mia e ti saluto’
tanto che io quando lascio un posto ho sempre l’impressione che quello sarà casa mia,
sempre di più di quello in cui vado a stare.
Quando ti prendono a calci in culo di nuovo, tu te ne vai di nuovo
là dove te ne vai sei sempre più straniero, sempre meno a casa tua.
E quando ti prendono a calci in culo, tu te ne vai di nuovo
quando ti giri a guardarti indietro, amico, è sempre il deserto.
Fermiamoci una buona volta e diciamo ‘Andate a fanculo’
io non mi sposto più, voi mi dovete stare a sentire
se ci sdraiamo una buona volta sull’erba e ci prendiamo tutto il tempo
che tu racconti la tua storia, quelli venuti dal Nicaragua
che ci diciamo che siamo tutti, più o meno stranieri
ma che adesso basta, stiamo a sentire, tranquilli, tutto quello che ci dobbiamo dire
allora sì che capisci che a loro non gliene frega un cazzo di noi.
Io mi sono fermato, ho ascoltato, mi sono detto: ‘Io non lavoro più’
finché non ve ne frega un cazzo di me.
A che serve che quello del Nicaragua viene fino qua e che io vado a finire laggiù
se da tutte le parti la stessa storia.
Quando ho lavorato ancora, ho parlato a tutti quelli presi a calci in culo che sbarcano qua
per trovare lavoro e loro mi sono stati a sentire.
Io sono stato a sentire quelli del Nicaragua che mi hanno spiegato com’è da loro
Laggiù c’è un vecchio generale, che sta tutto il giorno e tutta la notta al bordo di una foresta
gli portano da mangiare perché non si deve spostare
che spara su tutto quello che si muove
gli portano le munizioni quando non ce ne ha più.
Mi parlavano di un generale coi suoi soldati che circondano la foresta
tutto quello che si muove diventa un bersaglio
tutto quello che compare al bordo della foresta
tutto quello che notano che non c’ha lo stesso colore degli alberi
e che non si muove allo stesso modo
Io sono stato a sentire tutto questo e mi sono detto che da tutte le parti è la stessa cosa
più mi faccio prendere a calci in culo e più sarò straniero
loro finiscono qua e io finirò laggiù
laggiù dove tutto quello che si muove sta nascosto nelle montagne
Io ho ascoltato tutto questo e mi sono detto: “Io non mi muovo più, se non c’è lavoro non lavoro
se il lavoro mi deve far diventare matto e mi devono prendere a calci in culo, io non lavoro più
Io voglio sdraiarmi, una buona volta, voglio spiegarmi, voglio l’erba
l’ombra degli alberi, voglio urlare, voglio poter urlare, anche se poi mi sparano addosso.
Tanto è quello che fanno. Se non sei d’accordo, se apri la bocca,
ti devi nascondere in fondo alla foresta. Ma allora meglio così
almeno ti avrò detto quello che ti devo dire.
Giacomo Lanzarone è nato a Menfi nel 1983. Ha studiato in Emilia Romagna conseguendo la Laurea in Informatica. Dopo alcune esperienze professionali in Ferrari e Maserati, nel 2017 è emigrato nella sedicente Padania.
Da alcuni anni si è specializzato come tecnico ERP Infor LN. Oggi si occupa anche di Business Intelligence, con l’ausilio di Infor Dynamic Enterprise Performance Management (Infor d/EPM).
Determinato, sportivo, amante della buona cucina e dei piaceri della vita. Ama viaggiare, allargare i suoi orizzonti e scoprire nuove culture.