Si chiamava Valle del Belìce, con l’accento sulla i, ma le forti scosse del terremoto riuscirono a spostare anche l’accento. Dalla notte del terremoto del 1968, per un refuso, diventò infatti per tutti gli italiani Valle del Bélice, con l’accento sulla e. Questa terra martoriata perdette anche il suo nome, sotto le macerie del più doloroso dei primati: fu il teatro del primo grande sisma del dopoguerra.
Fu uno choc collettivo quando, all’indomani della notte tra il 14 e il 15 gennaio del ’68, le immagini di quel dramma irruppero in bianco e nero in tutte le nostre case. Una scossa di magnitudo 6,4 aveva mostrato a tutto il mondo il dolore ed il sangue di Gibellina, Salaparuta, Montevago, Poggioreale, Santa Ninfa, Santa Margherita Belìce, Menfi, mietendo circa 400 vittime in tre province (Trapani, Agrigento, Palermo), distruggendo sei paesi, con oltre mille feriti e tra 70 e 90 mila sfollati.
Nel 1973 le baracche ospitavano ancora 48 mila persone. Le ultime sono state smontate solo nel 2006.
Nel 1973, a sette anni dalle scosse, erano state installate le baracche che diedero modo di poter ospitavare 48 mila persone. Le ultime baracche sono state smontate solo nel 2006.
Dopo il 1968 lo sdegno per le baraccopoli siciliane provocò (almeno) una mobilitazione nazionale.
L’estrazione dell’amianto (minerale naturale) riuscì, in quei tristi momenti, a far piangere di gioia molte delle persone che nel terremoto del 1968 avevano perso tutto. Negli anni però quelle lacrime di gioia sono divenute lacrime di dolore e di rabbia. Nessuno avrebbe potuto immaginare infatti che quelle case, simbolo di ricostruzione e rinascita, sarebbero diventate luogo di morte. Le “abitazioni” vennero costruite utilizzando l’amianto, col rischio di far ammalare di tumore anche chi il giorno del terremoto non era neanche nato. Quelle case provvisorie oggi accolgono ancora circa 40 famiglie, e la compravendita è ancora viva per poche migliaia di euro; alcuni la comprano come residenza estiva nonostante il pericolo di vivere a stretto contatto con l’amianto. Pure la chiesa “provvisoria” Santi Pietro e Paolo, è interamente costruita in amianto, e ogni domenica apre le porte ai fedeli, così come è interamente costruito in amianto l’ex poliambulatorio, oggi abitato. A gridare aiuto per una bonifica mai arrivata è lo stesso sindaco di Montevago,
Margherita La Rocca: «Qui il numero di tumori è davvero alto ma quello che fa impressione è che a morire sono i ragazzi. Io sin da subito ho chiesto i dati dei morti dal 1998 al 2008 e ho riscontrato che quasi tutti muoiono per patologie tumorali, molte ai polmoni».
Nell’altro paese tra i più colpiti dal sisma, Santa Margherita di Belice, un arco separa il momento della tragedia dal paese ricostruito: lì c’è il vecchio centro, oggi ridotto a discarica con migliaia di lastre di amianto ammucchiate tra l’erba dove brucano le pecore. Recipienti in amianto e vecchie coperture, in attesa di una bonifica promessa ai sindaci nel 2013, quando il senatore Giuseppe Marinello, allora presidente della Commissione ambiente del Senato, annunciò lo stanziamento di 10 milioni di euro per la bonifica. Mai arrivata.
“Da quel giorno aspettiamo questi soldi per il nostro paese dovevano arrivare 2 milioni e 300 mila euro, ma non sono mai arrivati”, spiega il sindaco di Santa Margherita di Belice, Franco Valenti. “Quella dell’amianto è una nota dolente per tutti noi perché è incredibile che ancora oggi, pur conoscendo i rischi non è mai stato fatto nulla. Questi soldi dovevano passare dallo Stato alla Protezione civile nazionale e da questo ente ai comuni, ma noi non abbiamo ricevuto nulla. Noi abbiamo già due progetti esecutivi, ma mancano i soldi per realizzarli”, conclude il primo cittadino. Il progetto di bonifica, oltre al vecchio paese distrutto, riguarda quella conosciuta come “Fossa dei leoni”, in pieno centro, dove sono presenti tonnellate di amianto, un tempo copertura delle baracche costruite dopo il terremoto. Quella fossa è adesso il simbolo di un Belice che non ha mai smesso di piangere.
Dal registro Regionale Siciliano dei mesoteliomi, ossia di quei tumori che nascono dalle cellule del mesotelio e sono associati soprattutto all’esposizione alle fibre dell’eternit, aggiornato al 2016, emerge che le province siciliane con il più alto tasso di incidenza sono quelle in cui sono più numerosi gli insediamenti industriali. In un totale di 1504 casi residenti in Sicilia emerge, secondo il Registro, che dal 1998 al 2016 (dato incompleto) sono stati individuati 1162 di casi certi, 71 probabili e 251 mesoteliomi possibili.
A distanza di 26 anni dalla messa in fuorilegge dell’amianto, la Valle del Belìce continua a pagare le conseguenze dell’esposizione di questo minerale killer.
Quando verranno intraprese le azioni di bonifica?
Quando arriveranno i finanziamenti?
Quando finiranno gli inutili proclami?
Quanti ancora dovranno passare a miglior vita?
Giacomo Lanzarone è nato a Menfi nel 1983. Ha studiato in Emilia Romagna conseguendo la Laurea in Informatica. Dopo alcune esperienze professionali in Ferrari e Maserati, nel 2017 è emigrato nella sedicente Padania.
Da alcuni anni si è specializzato come tecnico ERP Infor LN. Oggi si occupa anche di Business Intelligence, con l’ausilio di Infor Dynamic Enterprise Performance Management (Infor d/EPM).
Determinato, sportivo, amante della buona cucina e dei piaceri della vita. Ama viaggiare, allargare i suoi orizzonti e scoprire nuove culture.