Quello che si è consumato in questi giorni non può che essere un evento di grande spirito culturale. La temporanea apertura del teatro popolare a doppia sala di Sciacca, conosciuto ai più come teatro Samonà (dal cognome dei progettisti), è sicuramente un grande evento culturale per la città di Sciacca.
Finalmente un atto che rende giustizia prima ad una grande opera di architettura, presente su tutti i più importanti manuali di storia dell’architettura, e poi a due grandi maestri dell’architettura contemporanea quali sono stati i Samonà padre e figlio: Giuseppe (ingegnere ndr.) e Alberto (architetto ndr.).
Per un architetto come il sottoscritto, formatosi in periodo universitario seguendo i corsi di coloro che in Sicilia sono stati i discepoli di questi maestri dell’architettura, potervici mettere piede è come per un bambino entrare nel suo cartone animato preferito. Un’opera sicuramente controversa e che ha determinato diverse correnti di pensiero, pro e contro. Odiata ed amata dai cittadini, soprattutto per la sua fisicità e per la forzatura del suo inserimento in un contesto ambientale particolare come quello del parco delle terme. Forse poco calibrata dimensionalmente e leggermente fuori scala. Un tentativo forse non proprio riuscito di assimilare l’edificio alla natura intorno, sul promontorio dove sorge. Ma tutto, ritengo, è relativo.
Ci siamo mai chiesti come si sono espressi i cittadini dell’epoca quando sono stati realizzati, nella stessa area, il complesso dell’ex convento di S. Francesco prima, il complesso termale poi ed infine il Grand Hotel delle Terme. Tre opere avanguardiste, se collocate nel loro periodo di realizzazione (in ordine: 1200 c., 1930 c. e 1960 c.), in quanto figlie di un’espressione architettonica, per l’epoca, modernista. Tre opere alle quali è stata comunque restituita la loro dignità esistenziale dal trascorrere del tempo (oggi siamo tutti romanticamente attaccati a tutto ciò che è vecchio). Lo stesso può dirsi per questo teatro figlio del suo tempo.
Il concepimento dell’opera è avvenuta in un periodo in cui: l’uso del cemento armato era la panacèa tecnologica a tutti i sistemi costruttivi; il calcestruzzo faccia a vista veniva sostituito alla pietra da plasmare e modellare; le forme geometriche pure (cono inclinato, prisma rettangolo e semi piramide) erano figlie di una più avanzata cultura architettonica razionalista derivante dall’epopea fascista (Giuseppe Samonà aveva conseguito gli studi di ingegneria a Palermo a metà degli anni 20 dello scorso secolo ed aveva iniziato ad insegnare a Messina in pieno periodo fascista); le stesse decorazioni presenti sulle facciate, “…che umanizzano il calcestruzzo/pietra…” (cit.), sono memoria di quell’avanguardia pittorica che a partire da Braque, passando per Picasso, aveva smaterializzato la figura per restituirla ricomposta in forme geometriche elementari (cubismo).
La stessa dimensione strutturale è frutto della visione politica dei tempi in cui Sciacca “sarebbe” dovuta divenire, all’interno di un Piano Comprensoriale a grande scala territoriale, polo attrattore di uno sviluppo economico della parte occidentale dell’ex Provincia di Agrigento.
Insomma, il teatro di Sciacca è, sebbene devastato da un intervento di recupero edilizio dissennato (ne parlo da ruskiniano convinto), un’opera d’architettura che giustamente merita di essere menzionata su tutti i trattati di architettura contemporanea. Un’opera , come abbiamo già detto, fortemente incompresa perché ad oggi incompiuta e soprattutto perché emblema di quel sistema affaristico illegale legato al sistema degli appalti pubblici degli anni 80 e 90 del 900, che faceva lievitare i costi delle opere pubbliche a livello esponenziale senza mai prevederne l’ultimazione dei lavori. Un’opera che è stata anche occasione di contrapposizioni politiche, pseudo ideologiche e scarsamente idealiste.
Ma comunque, oggi siamo tutti a fare festa perché finalmente il teatro vive, anche se per tre soli giorni. Oggi tutti “dobbiamo” fare festa perchè viene restituito alla città un pezzo di storia dell’architettura d’inestimabile valore. Grazie a questo evento abbiamo tutti messo l’abito delle occasioni migliori, compreso i primi detrattori dell’opera, e rispolverato il sorriso di circostanza per tagliare il nastro, farci i nostri selfie, e portare alla vita per 3 giornate il TEATRO SAMONA’.
Abbiamo smesso di parlare male del Samonà; abbiamo tirato a lustro la città; abbiamo addirittura istituito le zone a traffico limitato per i graditi ospiti. Abbiamo anche noi, finalmente dopo 30 anni, il nostro evento mondano alla scala. “The show must go on”!
Ma cosa accadrà quando alla fine della fiera tireremo via i tappeti?