Su Facebook il dolore di chi lo ha conosciuto, in Asia o in Europa, sul campo, a spalare fango tra gente che mai aveva visto prima.
«Non era questa la notizia che avremmo voluto e dovuto leggere». Un singolo messaggio, carico di amarezza. Si apre così la pagina Facebook “Vogliamo Giovanni Lo Porto libero”, lo spazio virtuale che più di ogni altro in questi anni ha lottato per mantenere vivo il ricordo dell’ex ragazzo di Palermo partito per il mondo con il sogno grande di migliorarlo.
E poi giù messaggi di cordoglio, voci sparse di chi lo ha conosciuto, in Asia o in Europa, sul campo, a spalare fango tra gente che mai aveva visto prima, o sui banchi di scuola, mentre progettava il suo futuro. In sintesi: Giovanni era una persona speciale.
Dopo la laurea Giovanni fa di nuovo la valigia e si reca nella Repubblica Centroafricana e ad Haiti, sempre per dei progetti di cooperazione, e quindi in Pakistan. Dove incontra Andrea Parisi.
«Allora lavoravamo entrambi per Cesvi», racconta al sito Redattoresociale. «Ero arrivato a Multan da pochi giorni. Giovanni mi ha lasciato le consegne, dovevo chiudere il suo progetto. Era felice di andarsene, aveva affrontato la fase più dura dell’emergenza. Mi disse che aveva in programma un viaggio in solitaria intorno al mondo: voleva prendersi una pausa lunga, allontanarsi per un po’ dal mondo della cooperazione».
Ma non è andata così. Giovanni non ce l’ha fatta a “staccare la spina” e a fine 2012 è di nuovo in Pakistan, a Multan. Dove viene rapito con Bernd Muehlenbeck dal compound della ong tedesca Welthungerhilfe. Un destino infame quello che s’è portato via Giovanni. Il suo compagno di prigionia infatti ce l’ha fatta, liberato da un blitz delle teste di cuoio tedesche. Ma lui non c’era già più.
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