Stanchi della libertà? Nulla più del ‘caso’ parigino ha dato e continua a dar la misura della stupidità (passatemi il termine) della politica Barroso-Merkel del passato quindicennio.
Tra Berlusconi e Prodi, per quel che riguarda l’Italia la opzione Napolitano/Monti si è svolta nel segno della continuità: al centro erano, e restano i temi della ‘governabilità’ e della solvibilità, nel fatto il salvataggio di un ceto politico indecente che pretende con arroganza l’altrui autocritica per evitare di assumere la responsabilità della propria.
Ma quel che l’Ue ci ha assicurato non è stato solo l’opzione ‘germanica’ del rigore, ma il provincialismo, il cerchio magico del ‘mondo della sicurezza’, assunto anche dopo l’11 settembre quasi scudo a difesa. Sicchè l’Occidente – non solo l’Europa, ma sopratutto l’Europa – è apparso impreparato a interpretare la globalizzazione come la fine di un mondo che non c’è più, e (commento alla strage parigina) non sa dire cosa è venuto al suo posto.
I segnali, lo ripeto, sono scoraggianti: ridicolmente impotenti, Stati Uniti (ora del tutto repubblicani) ed Europa (a guida liberal-popolare) sbandierano in tono assertivo la certezza di saper restituire quel mondo della sicurezza che già la fine dell’imperialismo anglo-centrico degli anni Sessanta avevan sepolto senza tuttavia provare a scriverne l’epigrafe.
La formula riassuntiva, dopo la solenne liturgia del giuramento antiterrorismo, è con tragico realismo diventata la constatazione che l’Occidente è “stanco della libertà”: e do per certo che il prossimo futuro sceglierà di avvitarsi, rassegnato, attorno a siffatto slogan, poiché la libertà non ha assicurato al ‘mondo libero’ la sicurezza, tanto vale mandarla in soffitta.
Non sono certo, ancor meno rassegnato a conclusioni siffatte. Esse giovano ai ‘responsabili’ per coprire il tradimento, l’indifferenza di fronte alle responsabilità che comporta l’assunzione del potere. Perciò può essere opportuno rivisitare il percorso di una ‘nostalgia’ che ha tenuto e pretende di tenere – e non è paradosso – per via della sua trasformazione da drammatico patrimonio culturale in formula di propaganda politica.
Chi ha parlato con tragica nostalgia del ‘mondo della sicurezza’ è stato l’ebreo austriaco Stephan Zweig (1881-1942), nella premessa al suo libro più noto “Il mondo di ieri”, scritto fra il 1938 ed il ’40 (pubblicato nel ’41), pochi mesi prima del suicidio disperato. Zweig imputava alla Guerra Mondiale la colpa di aver distrutto quel suo mondo, quando aveva generato il mostro nazista.
Salvo qualche eco nel mondo anglosassone, durante gli anni di Wilson e poi della guerra, la formula si è fatta corrente nel giornalismo europeo del secondo dopoguerra, con varie imputazioni: io stesso ne ho fatto uso per indicare non il tempo europeo che precedette la prima Guerra Mondiale, ma – ristudiando più volte il confronto tra B. Croce e F. Meinecke – gli anni Trenta del secolo passato, quello che si è denominato della Grande Crisi. Il tema era parte del mio impegno etico-politico, non certo della mia competenza di ricercatore: ed è in siffatta prospettiva che negli anni ’70 presi parte al dibattito sulle tesi di Nolte che disponeva (anticipando successive considerazioni della globalizzazione) su posizioni opposte eppur convergenti la Russia di Stalin e la Germania di Hitler.
Non era il mondo della sicurezza assicurato dalla tenuta degli ‘imperialismi liberali’ (leggi l’America di Roosevelt e poi dei Kennedy) contro i minacciati ‘imperialismi totalitari’? Guidata dalla miglior pubblicistica nord-americana, la tesi ebbe una ripresa con la creazione dello Stato di Israele e la morte di Stalin: non potè resistere all’urto della fine del Commonwealth (impotente la ripresa della Thatcher) e alla crisi Allende dell’imperialismo degli Stati Uniti sull’America del Sud.
Ho provato (invero con scarso successo) a ricordare che la cultura storico-politica inglese degli anni Ottanta era già in possesso (nome e cosa) della globalizzazione, e che era risibile il tentativo di fronteggiarla con formule come quella dei ‘paesi emergenti’ (India, Cina, Brasile, ecc.). Gli è che la sicurezza era finita come il mondo cui era imputata dalle formule ricorrenti: forse l’ultimo tentativo fu quello di Bush jr nel volere imporre con la forza la democrazia a tutto il travagliato Medio Oriente. Oggi i ‘giovani’ pagano a costi insopportabili l’arroganza e la stupidità di quei ‘vecchi’.
Il caso italiano è parte di questa tragedia. Non starò qui a ripetere quel che provo a dire dal tempo del disastro Berlusconi-D’Alema, del suicidio del socialismo italiano e della DC (balena bianca arenata sul bagnasciuga della Destra), della disastrosa reincarnazione Napolitano del ‘compromesso storico’ nelle ‘larghe intese’ della prefettizia unità nazionale. Un legato retorico che aggrava i costi della ripresa morale d’un paese di furbi, di evasori, di corrotti al punto di far credere nella stanchezza della libertà. E da qui, e non dalle giaculatorie contro l’Antipolitica o di barattare per ‘nuova resistenza’ l’Antirisorgimento della politica europea. E’ il terreno su cui i nipoti possono ancora salvare il salvabile del mondo di ieri che torna, memoria incancellabile, nell’umana nostralgia dei loro nonni. Giuseppe Giarrizzo de la Sicilia
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