Trapani, antico rito suggella l’amore uomo-donna.
Arriva prima lo “sposo”, come si conviene in ogni matrimonio. Elegantissimo, stretto in un vestito scuro, avanza sorridente verso i suoi ospiti.
La “sposa” compare dopo una mezz’ora, sobriamente vestita, molto emozionata si guarda intorno con aria smarrita. Un gruppetto di persone attende nel cortile su cui si affaccia una bassa costruzione a un piano, qualcuno fuma, altri passeggiano. Sul portale ci sono i simboli del compasso e della squadra. Saluti di rito, baci, scambi di poche parole, sguardi perplessi e interrogativi.
È palpabile il timore reverenziale di chi non sa cosa aspettarsi quando, da lì a poco, sarà eccezionalmente ammesso a partecipare alla celebrazione del “riconoscimento coniugale massonico”, un rito che vuole suggellare il vincolo che unisce un membro della loggia con la sua compagna e che dia testimonianza della reciproca volontà di percorrere la vita insieme. I pochi invitati parlottano a piccoli gruppi a bassa voce, non fanno domande, attendono.
È la prima volta in Sicilia che si celebra il rito coniugale e pochissimi sono stati quelli celebrati in Italia ancorchè le procedure siano in qualche modo codificate da regole. Ma c’è poca letteratura in proposito e poche esperienze. La rarità delle celebrazioni dipende anche da una decisa resistenza a pensare al ruolo delle donne all’interno di una loggia, di qualunque Ordine sia, e sono forti le perplessità e i divieti a far sì che le donne si mescolino agli uomini; pur non negando il loro ingresso, infatti, le logge restano quasi sempre e per tradizione rigorosamente divise.
La partecipazione femminile alla massoneria sta seguendo ancora un lungo cammino verso l’apertura e l’accoglienza ha il carattere dell’eccezionalità. Se la donna accetta il riconoscimento massonico deve manifestare la volontà a partecipare, dall’esterno, ad un universo di idee e di riti che le è totalmente estraneo abbracciando la “fede” del compagno e fidandosi dei suoi convincimenti. «Un atto di amore ma non di sottomissione», spiega la “sposa” mentre sta per varcare la soglia del tempio. «Un credere all’universalità di certi valori, nell’amore e nell’uguaglianza, a me basta questo e non credo che ci sia altro da aggiungere». Non può pretendere di aver chiarito ogni passaggio, chi non fa parte dell’obbedienza, può informarsi ma non andare molto oltre. «È una scelta libera – tengono a precisare ancora i due sposi – matura e consapevole, un percorso che vogliamo fare insieme». Credenti o atei che siano, non importa, anche se i massoni sono per definizione scomunicati dalla Chiesa.
L’appartenenza da lunghissimo tempo alla massoneria al cui interno ha scalato tutti i percorsi e gradi, diventando capo di una Loggia, ha indotto lo “sposo” a considerare naturale il passaggio che porta alla solenne promessa d’amore davanti ai suoi “fratelli”. E a testimoniare che si tratta di un evento singolarmente unico, sono arrivati ad assistere al rito un cancelliere del Gran Loggia francese e altri rappresentanti di logge siciliane e calabresi.
Il perché della scelta lo spiega lo “sposo”. «L’idea mi è balzata in mente quando ho avuto tra le mani un vecchio testo sulla massoneria acquistato all’asta per 400 euro una decina di anni fa, che riportava con dovizia di particolari come andava celebrato il matrimonio, un testo arcaico che è stato snellito e attualizzato secondo le esigenze». Hanno lavorato mesi, impegnato il tempo in lunghissime prove affinché tutto risultasse perfetto, a ciascuno è stato affidato un ruolo seguendo l’antico canovaccio, una frase, un movimento, un gesto scandito in un momento preciso.
Tutto è pronto: una breve cerimonia riservata ai massoni è appena terminata, gli ospiti vengono accompagnati dentro la grande sala che restituisce ad un occhio vergine solennità e mistero non solo per le luci soffuse che ammorbidiscono la stanza e per gli innumerevoli simboli che in essa sono contenuti, per l’abbigliamento dei massoni presenti e per il rigore e l’ordine a cui si assoggettano. Gli scranni e le sedie sono addossati alle pareti a formare un quadrato dove, secondo un ordine stabilito, si accomoderanno i pochissimi ospiti della coppia e, accanto al Gran Maestro, gli ospiti illustri.
L’officiante, il Gran Maestro appunto, ha un ruolo principe di coordinamento e “gestione” del rito che si affida alle sue capacità del sentire, sarà lui a svolgere e vigilare affinché il rito si svolga come previsto. Una responsabilità che, in questo caso, è soggetta all’emozione data dall’amicizia verso lo “sposo”.
I posti a sedere sono assegnati, seguono un rituale già scritto a cui provvede il gran cerimoniere facendo sfilare uno alla volta gli invitati che, chiamati per nome con una sorta di appello, prendono posto secondo l’ordine prestabilito e si accomodano gli uni di fronte agli altri divisi da un ampio spazio centrale dove siederanno gli sposi sotto un pavimento a scacchi bianchi e nero, anch’esso simbolicamente evocativo.
Il Gran Maestro, dotato di un’oratoria efficace, illuminato dal dono dell’affabulazione, ripercorre la vita degli “sposi” seduti davanti a lui, il loro incontro sui banchi di scuola, il perdersi di vista per decenni, le vite separatamente vissute, il rincontrarsi in età adulta e la decisione di continuare a condividere la vita insieme. A qualcuno degli ospiti scende una lacrima e la suggestione in un’atmosfera intrisa di mistero e silenzi di altro tempo, quasi surreale, cinematografica, raggiunge il suo apice.
Le parole scandite, i richiami all’obbedienza e alla fedeltà pronunciate da diversi componenti della Loggia formano una catena di voci, il martelletto batte sui banchi a completamento di formule imperiosamente pronunciate che appartengono ad un passato che si credeva estinto, le luci si spengono, le fiammelle delle candele accese sui candelabri vibrano, il teschio posato un banchetto, squadra, compasso, ordine e distanze calcolate al millimetro. Le statue di Venere, Ercole e Minerva, lievemente illuminate sono poste in alto nei tre lati della stanza così come i dodici simboli dello zodiaco che nulla hanno a che fare con l’astrologia. La cazzuola in un angolo, che cementa il legame, le colonne davanti alla porta, simbolo di stabilità, il filo a piombo segno di rettitudine.
Mistero e silenzi si confondono fino a quando i due “sposi”, immobili nelle poltroncine dalle spalliere di legno intarsiato, uno accanto all’altro, sono pronti a pronunciare il sì. Segue tra sguardi incrociati gonfi di emozione, lo scambio degli anelli.
Qualcuno, autorizzato, si muove nella sala quadrata per scattare qualche fotografia, una telecamera fissa riprende la cerimonia. Le luci si riaccendono, il Gran Maestro torna a sedere al suo posto e si avvia alla conclusione del rito. I “fratelli” si alzano e, dirigendosi verso l’uscita, si sistemano su due lati formando un corridoio di spade inarcate, una volta protettrice, sopra le teste degli sposi, che vi passano sotto.
Fonte: Mariza D’Anna de La Sicilia 12/01/2015
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Ho ricevuto un invito ad un matrimonio massonico, da cui è escluso il nome della sposa, è un errore macroscopico. O una regola scientifica di omettere il nome della sposa e citare solo il nome dello sposo?