Con “Extra Vergine Menfi 2014”: tre giorni di festa fra degustazioni, fattorie didattiche e artisti. Ma anche strategie per rilanciare il comparto nonostante un’annata disastrosa: -35% di prodotto. «Poco ma ottimo».
A Menfi l’innovazione nei frantoi. «Le sfide? Qualità e marketing». E i giovani restano negli uliveti.
Menfi. Anche per lui è una domenica diversa dalle altre. Giovanni, che le mani con le olive se le sporca da una vita, alle dieci del mattino è già sveglio da un bel po’. E quando il frantoio si apre all’invasione colorata di centinaia di persone – in una mattinata in cui col sole caldo e il mare calmo vien voglia di azzardare pure un bagno in una delle spiagge più incantevoli della Sicilia – trasforma il suo sguardo arcigno in un sorriso accogliente.
«Benvenuti a tutti, oggi vi spieghiamo quale viaggio fanno le olive nel frantoio per diventare olio». Intanto Elvira e Claudio, genitori di Palermo che sembrano quelli del Mulino Bianco in licenza premio, accompagnano Giada e Federico a scoprire quant’è straordinaria la natura qui, a cavallo fra la spiaggia e gli uliveti. Ma l’idillio si rompe quando devono scegliere il da farsi, tanto è vario il programma: la ragazzina vorrebbe andare in una fattoria a scoprire «le meraviglie e i segreti dell’orto biologico», il piccolino scalpita per catapultarsi nell’azienda agricola che propone “I giochi dell’Olio giulivo”.
Mamma e papà ritardano la degustazione guidata per accontentare entrambe le istanze: «Ma stiamo un’ora in un posto e un’ora nell’altro», è l’accordo bipartisan che tiene unita la famigliola, che poi convergerà compatta ad ammirare il maestro Nino Cuticchio intento nel costruire un immenso pupo col legno d’ulivo.
Rinunciando, a malincuore, alla passeggiata sonora, dalla campagna alla spiaggia incontaminata di Capparrina, accompagnati dalle note di contrabbasso e viola. Li rincontremo – con i genitori che fanno «ooh» – alla mostra di Ute Pyka e Umberto Leone. A riflettere su queste parole: «Le radici ben piantate in terra e i rami rivolti verso la volta celeste: attorno all’ulivo è nata la spiritualità dell’uomo, sono nati i segni e gli alfabeti. L’ulivo è il simbolo del Mediterraneo che unisce e non divide». Parole con la testa sulle spalle, ben più stabili delle danze sul filo dell’equilibrista Ignazio Grande.
Anche perché è quasi impossibile fare tutto ciò che c’è da fare. A Menfi. Meglio investirci almeno 48 ore non stop; come hanno fatto centinaia di turisti e buongustai, che hanno riempito alberghi e b&b della zona. Perché saranno pure i “Giochi dell’Olio” il tema più attraente di questa seconda edizione di “Extra Vergine Menfi” (tre giorni di degustazioni, approfondimenti, frantoi aperti, performance e installazioni di artisti, laboratori didattici e via oliando) che si è chiusa ieri con un bilancio più che gratificante. Ma qui l’ulivo è una cosa seria.
E non solo perché la manifestazione – organizzata dal Comune di Menfi e dall’associazione “SiSteMa Vino”, il patrocinio della Regione e la partecipazione delle principali aziende del territorio – ha avuto il prestigioso patrocinio della Fao, grazie al pressing della Consulta agricola di Menfi. La cosa è seria, anche perché in questo meraviglioso contesto la natura ha già regalato agli uomini dei vigneti unici, che parlano di vino a tutto il mondo. E quindi puntare sull’olio sembra quasi osare. Come se a Maranello si organizzasse un raduno di mountain bike.
Eppure non è così.
«Perché la realtà olivicola è importante e molto diffusa sul territorio», certifica Accursio Alagna, direttore de “La Goccia d’Oro”, coop che raggruppa 1.100 produttori. Impegnato in prima linea a minimizzare i danni di un’annata nera per tutta la produzione olearia siciliana: meno 40-45% di rispetto allo standard di 35mila quintali di olive nel comprensorio menfitano (principe della Dop “Val di Mazara”) che ogni anno ha una resa media del 15% e quindi circa 6mila quintali d’olio, nel 2014 ridotti a poco più di 3mila. «Quest’anno le temperature miti da aprile a luglio hanno fatto sì che la fruttificazione sia stata ridotta a causa della diffusione di quegli insetti, la tignola e la mosca olearia, che provocano più danni alle olive causandone anche la caduta precoce». Ma è possibile che nell’anno di grazia 2014 il caldo e le mosche possano mettere in ginocchio un comparto? «L’olivo – ammette Alagna – ha bisogno di una gestione attenta e moderna, con un continuo monitoraggio del campo». Questa coltura, nelle colture, «c’è già, ma va migliorata attraverso una sensibilizzazione dei produttori».
Poco ma ottimo, assicurano i produttori. Che “coccolano” come figliolette viziate le tre cultivar più diffuse in questa zona – Nocellara del Belice, Biancolilla e Cerasuola – sempre al top della qualità. Con un prezzo di conferimento in frantoio di circa 5 euro al litro, che negli scaffali della distribuzione arriva a circa 9 euro per una bottiglia da 750 centilitri, ovvero 12 euro al litro.
«Ma non è tutto oro quello che luccica», precisa il direttore de “La Goccia d’Oro” sostenendo che «c’è un corretto ricarico e un ottimo rapporto qualità-prezzo, oltre che un progetto di crescita della cooperativa basato sul prezzo di conferimento legato indissolubilmente alla qualità». Che però dev’essere spiegato ancora meglio al consumatore. Perché chi viene qui, fra un gioco e una degustazione, comprende la differenza che c’è fra l’olio di Menfi e quello “generico” che dagli scaffali s’infila sul carrello a 1,50 al litro.
«Il percorso per la valorizzazione dell’olio extravergine non è solo di qualcuno, ma di tutta la collettività», arringa giustamente il sindaco di Menfi, Vincenzo Lotà. Ma come si fa? In questi giorni un modello è stato dimostrato concretamente, anche grazie al coinvolgimento di tutte le realtà d’eccellenza della zona. Pacchetti ospitalità e itinerari naturalistici offerti dalle strutture ricettive, ma soprattutto un percorso gastronomico con tutti i ristoranti che propongono menu con la carta degli olii da abbinare ai piatti.
Molto apprezzati la degustazione tecnica di extravergine curata da Elisia Menduni e il laboratorio di cucina di Angelo Pumilia: merluzzo in olio di cottura, raviolo all’olio e gelato all’olio d’oliva. Quest’ultimo «era buonissimo, cremoso molto cremoso, anche i biscotti erano buonissimi», annota la piccola Costanza, aspirante critica gastronomica, nel suo foglio dei giudizi, lamentandosi per «il troppo sale nella verdura» della pasta a cui dà comunque un “9+”.
Chissà se la baby-gastronauta ha ascoltato le parole di Giuseppe Bivona, presidente della Libera Università dei Saperi e dei Sapori, quando davanti a un consesso di esperti invoca: «Rendere l’olio protagonista a tavola, sperimentando gli abbinamenti, è una sfida aperta. È proprio quella che si deve vincere».
Parole sante. Come quel «think global, act local» che rappresenta la migliore strategia per il futuro di questi uliveti secolari. Dove i giovani, seppur con difficoltà, continuano il lavoro dei propri avi. «C’è stato un ricambio generazionale per alcuni versi “imposto” – ammette Alagna – perché decine di ragazzi hanno ereditato i terreni dei padri, ma adesso c’è più consapevolezza in chi decide di restare in campagna per puntare su qualità e innovazione». Anche perché qui nell’olio è inzuppato il pane di quasi 3mila famiglie che vivono di olive.
Mario Barresi | twitter: @MarioBarresi de La Sicilia
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