L’editoriale di Domenico Tempio, pubblicato ieri sul giornale La Sicilia, racchiude secondo noi l’attuale andamento politico siciliano. I problemi dei siciliani restano ma mancano le “poltrone”.
Di seguito il punto di vista sulla situazione politica regionale del giornalista de La Sicilia.
Se Matteo Renzi per il suo governo si dà i mille giorni, che Draghi lo protegga e la Polizia lo perdoni, Rosario Crocetta non sembra darsi invece dei giorni.
Va avanti a vista. Vive ormai da quasi due anni tra tribolazioni varie, assediato com’è nel suo fortino di Palazzo d’Orleans da un’inaffidabile brigata di compagni ed ex. Questi non chiedono molto: una semplice poltrona. Con l’ipocrisia di voler cambiare la Sicilia.
A quale cambiamento si riferiscano in verità non si è capito. Se parlano di scandali, passati e presenti, è più competente il Palazzo di Giustizia. Se parlano di corrotti, corruttori e incapaci, basta guardare dentro gli uffici regionali, dove burocrazia comanda, o tra gli stessi banchi di Sala d’Ercole dove siedono i “pezzi” da Novanta, tutti in gran parte coinvolti, chi direttamente chi indirettamente per omesso controllo. Il resto è tutta “scumazza”, si direbbe in un fantasioso siciliano. Liti infinite tra partiti, liti al loro stesso interno, liti tra caporioni di correnti. Lo fanno a carte scoperte. “Quell’assessorato tocca a me”, “no, tocca a me”. I nomi circolano, in questo non fanno mistero, gli insulti pure. Mentre il fango li copre tutti.
La rissa all’interno del Pd è esemplare. Ci sono renziani di nuova generazione, ci sono quelli che vantano una primogenitura dovuta all’antica militanza. Ma se Renzi a Roma, forte del suo oltre 40% elettorale, sopporta il linguacciuto D’Alema, le invidie del suo ex segretario Bersani, le gelosie di Rosy Bindi per le belle ministre, in Sicilia invece sembra che alcuni non ne vogliano sapere di tirarsi indietro.
Ma non sono solo gli eredi della ormai imbalsamata sinistra a pretendere più considerazione da un governatore che loro stessi, pur malvolentieri, hanno eletto. Basta capeggiare uno schieramento o un micro movimento per chiedere la dovuta ricompensa. Leggendo tra l’altro alcune interviste dei leader (sempre se vale la pena di chiamarli tali), tutto si capisce tranne quale programma chiedono per cambiare, come dicono loro, la Sicilia. C’è chi attacca, “Crocetta deve fare i conti con noi”, presentando la lista di nomi degni dell’ambito posto. Il Pd ha addirittura un poker da giocare. Il governatore, cui, in verità, piace gestire tutto in proprio, risponde tra il serio e il faceto: “ma quale rimpasto, rimango con gli assessori che ho”. Che poi, detto tra noi, chi più chi meno, sono uguali agli aspiranti. Sarebbe solo un cambio di nome e di faccia.
In questo caos destra e grillini ballano con i lupi. Pronti a sbranarsi a vicenda. Ognuno recita la propria parte. I primi cercano l’occasione per accordi sottobanco nella speranza di accreditarsi con Crocetta che della sua debolezza fa virtù; i secondi, cioè i cinque stellati, preferiscono il solito obiettivo del tanto peggio tanto meglio.
Nel passato abbiamo identificato la Regione come il deserto dei Tartari. Una fortezza assediata in un luogo vasto e desolato, dove aspetti un nemico che non arriva mai. Un’attesa estenuante dominata dall’inutilità del tempo. Qui ci sarebbe una differenza rispetto al bel racconto di Dino Buzzati: la speranza è che il vento del deserto spazzi via tutti. Simbolicamente è ribadire quello che sosteniamo ormai da alcuni anni: chiudiamo questa Regione, non serve più a niente, anzi fa sempre più danni.
Chiudono per fallimento molte aziende, e nell’Isola abbiamo un triste primato, non vediamo perché per la stessa ragione non solo economica, ma anche morale, non possa chiudere Sala d’Ercole?
Quando Crocetta, giorno dopo giorno, minaccia di recarsi al Palazzo di Giustizia per denunciare questo o quello, rivela nella sostanza il fallimento della classe politica di casa nostra. Gli consigliamo arrivati a questo punto di andare seriamente dal magistrato, per consegnare, però, le chiavi della Regione tutta. Potrebbe sembrare una provocazione, ma è la realtà. Anche se come siciliani ciò ci mortifica.
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