Finiti imperialismo e socialismo, è la moderazione al potere.
The lunatic fringe, “il margine folle” della società, della cultura occidentale, nell’orribile eppur corrente versione italiana (la frangia lunatica) ebbe corso nel giornalismo di casa nostra negli anni del terrorismo indigeno: e trascinò con sé anche l’uso simpatetico che della “corda pazza” di una tradizione morale alternativa Sciascia moralista era riuscito a imporre. Con gli anni 90 però la parola e la cosa scomparvero, nella palude giustizialista di Mani Pulite da cui il mago Berlusconi saprà trarre per due decenni il peggio della società italiana, alle prese con la “globalizzazione” e il cinico genocidio di 4-5 generazioni.
Oggi sappiamo che la cura “europea” non è bastata per tanto male: e l’europeismo non ha avuto nella nostra cultura politica miglior sorte del meridionalismo, l’altro mito residuale della Sinistra riformatrice. La morte del socialismo, l’epicedio dell’Occidente di cui la nostra cultura politica ha preso atto nella rassegnazione (nel rimorso?) dell’impotenza, ha segnato un tempo di degrado, quello stesso della fine dell’imperialismo, che ha reso difficile persino alla mia generazione (quella degli anni 20 e 30 del Novecento) di studiare e rappresentare la disfatta morale che è stata e continua ad esser nascosta dietro la presente crisi.
Non mi riesce facile, nel conflitto impari tra la rabbia e la speranza – che provo ad assumere, in mancanza di meglio, a chiave della dialettica presente – guardare con distacco al tragico film del presente che può nel caso italiano far di Paolo Mieli uno storico e di Brunetta un economista, di Napolitano il politico “nazionale” e di Bergoglio “gesuita” il Papa della fede che vince. È per l’Italia, come per l’Europa quale è, un navigare a vista sui barconi ove la vittima ed il boia, lo scafista e il disperato, sono associati dalla fortuna, la parola che “concilia” da sempre il caso e la provvidenza.
Non ho mai chiesto al passato che ho studiato risarcimenti o correzioni degli errori del presente: sicché preferisco tornare sulle origini della “grande crisi”, quella che tra il 1929 ed il 2009 comprende la tragica contemporaneità in cui ci è accaduto di vivere: e rileggo, grazie ad Amartha Sen e a Franco Lo Piparo, e Keynes e Wittgenstein, e Huizinga e Pirenne (e Marc Bloch), e – con buona pace di Luigi Einaudi – le ‘teste d’uovo’ di Franklin D. Roosevelt. Così mi accade di rivisitare quegli economisti di Cambridge e dell’accademia euro-occidentale presenti nel libro-paga di Stalin e del Comintern, che negli anni 50 han pur visto le loro opere tradotte (ed esaltate) dalla grande editoria del Pci, in attesa del recupero cattolico per l’alleanza antagonista di storici francesi e irlandesi; e della scontata fortuna, oggi anch’essa remota di Conrad Russell e di George Orwell.
Oggi, in un Occidente che si nutre di blog e consuma al posto della filosofia statistiche, ovvietà sociologiche, e l’antropologia “senza storia”, l’azione intellettuale e politica di quella prima fase della crisi contemporanea viene giudicata povera – e si preferisce ignorare quel che è accaduto nei due decenni, in cui si esaurivano socialismo e imperialismo. E tuttavia toccò ai “reduci” provare senza successo di realizzare quella “rivoluzione morale” che avrebbe dovuto concludere la vicenda secolare del colonialismo e fare l’Europa da loro, gli esuli, sognata nell’esilio o nelle carceri: a quella domanda di rivoluzione mancò del tutto la dimensione religiosa. Che però avrebbe cercato, allora come ora, l’illusione della sopravvivenza nelle “frangie lunatiche”: allora come ora, il Male venne identificato nel Capitalismo, che non è nel presente quel che potè (e volle) sembrare negli anni 50 – quando l’Urss perdeva Stalin e gli Usa si liberavano dei Kennedy.
Non leggeremo mai l’apologetica neo-liberale di Quagliarello che assumeva ad eroe positivo Berlusconi. E forse non avremo l’apologetica neo-socialista di Mieli per Napolitano che battezza come euro-comunismo le inutili e costose “intese” di Monti o di Letta, povera gente promossa a ruoli più grandi di loro. E la frangia lunatica?
Bergoglio è riuscito a controllare quel che resta del cristianesimo: non però della “diaspora ebraica”, vera mina vagante, ma ancor meno l’esito della “primavera araba”. La scena della preghiera “a tre” (Bergoglio, Perez, Abu Mazen) è un tipico e approssimativo affaire politico, dove il capo monocratico di una chiesa universale chiama alla sua mensa due politici locali, da tempo privi di potere reale e, a quel che vediamo, neppur forti di simbolica etico-religiosa. Donde la domanda che conta: cosa è, cosa vogliamo che sia il “capitalismo” del futuro?
La condanna del Papa cattolico ripropone argomenti di richiamo per “grandi masse”: in Europa il miglior risultato appartiene all’opportunismo della grosse Koalition, ed è faro per i “moderati” d’ogni specie o provenienza. L’Occidente (l’Europa e gli Usa) ne ha fatto la propria bandiera: finito l’imperialismo ed il socialismo, è la “moderazione” al potere. Con la Cina (ed il Giappone), l’India, e con loro l’Europa o l’ennesimo “sogno americano”? Vedrete che presto definiremo lunatic fringe l’arcipelago degli euroscettici. Ma v’ha qualcuno che ci aiuti a capire cosa siano i “moderati” d’Occidente, e però il futuro che ci promettono? Giuseppe Giarrizzo La Sicilia
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