Dal 2008, anno della grande crisi mondiale, a tutto il 2013 la Germania ha visto crescere complessivamente la propria economia del 4,9%, in media 0,6 punti di pil all’anno. Con un solo anno di recessione, il 2009 (-4,97%), peraltro subito compensato l’anno successivo (+4,2%).
Nello stesso periodo, l’Italia ha perso 9,6 punti di pil, cioè mediamente l’1,6% per ciascuno degli ultimi sei anni. Con 17 trimestri di pil in rosso sui 28 trascorsi da inizio 2008.
La differenza fa 15 punti e mezzo di ricchezza prodotta, qualcosa come 230 miliardi parlando italiano e 400 parlando tedesco, visto che ormai il loro pil sta per raddoppiare il nostro. Se questo è il quadro – cui si potrebbero aggiungere altri elementi, dalla disoccupazione che in Germania è della metà a oltre 50 punti di differenza nel rapporto debito-pil (81% contro 135%) – chi usa il risultato del secondo trimestre 2014, in cui tanto a Berlino quanto a Roma si è registrato un arretramento di due decimi di punto, per mettere sullo stesso piano la nostra e la loro condizione e parlare di crisi comune europea, o è un cretino o è un ribaldo.
E non solo per l’abissale diversità di pregresso, ma anche per quella di prospettive: noi, tornati tecnicamente in recessione, è ormai evidente che chiuderemo l’anno sotto la linea di galleggiamento (probabilmente -0,2); loro, che nel primo trimestre avevano messo a segno un +0,8%, dovranno accontentarsi di una crescita inferiore all’1,8%-2% prevista, ma che se anche fosse di un solo punto (probabile +1,4%) sarebbe comunque radicalmente diversa da quella italica.
Tutto questo per dire che ci lasciamo alle spalle l’ennesimo Ferragosto di bugie, di illusioni fondate sul nulla e di inevitabili cocenti delusioni. Sono anni che al momento delle ferie la notizia è sempre la stessa: l’Italia è in crisi, l’economia va peggio delle previsioni del governo.
Così come sono anni che nella pausa agostana si mettono a verbale annunci di pronta ripresa e promesse di rilancio che puntualmente si riveleranno fallaci. Sempre: con governi di centrodestra, di centrosinistra o tecnici, e il pronto uso di economisti da strapazzo, professionisti dell’ottimismo di maniera.
I ricordi, a metterli in fila, fanno impressione. Pensate al Ferragosto scorso, quando Enrico Letta parlava di una presunta “luce in fondo al tunnel”, dopo aver scritto nel Def che quest’anno avremmo guadagnato un punto di pil, portato il deficit al 2,3% e il debito al 132,8% del pil, mentre la disoccupazione sarebbe scesa al 12,4%. E pensante a Mario Monti che un anno prima ipotizzò un “cresci Italia” con il pil all’1,3%, il deficit all’1,7%, il debito al 129% e la disoccupazione all’11,8%. Per non parlare della coppia (scoppia) Berlusconi-Tremonti.
Per il primo non c’era crisi perché i “ristoranti erano pieni”, mentre per il secondo “l’Italia stava meglio degli altri”, tanto che annunciarono con gran soddisfazione che nel 2014 saremmo cresciuti dell’1,6%, il debito sarebbe stato al 114%, la disoccupazione dell’8,1%. Sogni di mezza estate, cui ora si è purtroppo aggiunto quello renziano.
Mentre la realtà dice recessione, deficit al 3% o oltre, il debito record a 2.168 miliardi (99 in più da inizio 2014), tasso di occupazione al 48,7%, il peggiore con quello greco in tutta l’eurozona. Insomma, per quanto sembri essere cambiato tutto, non è cambiato niente. Buon ritorno (alla realtà). Enrico Cisnetto la sicilia
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Non voglio correggere l’interessante articolo che indirettamente colpisce la poca memoria degli italiani, ma devo indicarle che il pil tedesco nell’ultimo trimestre è stato +0,5. Non è per nulla andato come in Italia. C’è stata una netta differenza di 7 decimi tra Berlino e Roma. La stampa nazionale ha fatto un gioco di prestigio accomunando un -0,2 che nei fatti per l’Italia è triste realtà, per la Germania è semplicemente la differenza tra 1° e 2° trimestre (+0,7 e +0,5), entrambi positivi. Ma questo, agli italiani, è meglio non dirlo, lasciamoli dormire in pace.