Last updated on Ottobre 2nd, 2012 at 01:35 pm
E’ sempre difficile parlare delle problematiche del Sud: solitamente s’innesca un meccanismo perverso, che genera stereotipi e insofferenza. In verità, la questione Sud meriterebbe di essere affrontata e approfondita con dati concreti, che dovrebbero servire per individuare delle possibili soluzioni; ben diverse e lontane da quelle individuate anni fa, che spesso hanno allontanato sempre più il Sud dal Nord e contribuito a renderci poco credibili, creando un danno alla presente generazione e forse anche alla prossima!
Il Rapporto Svimez, anno 2011, riporta alcune cifre che dimostrano inequivocabilmente che il Sud è una polveriera che rischia di esplodere. Analizzando per esempio il Pil pro capite di tutte le regioni d’Italia, si nota che la prima regione è – neanche a dirlo – la Lombardia con i suoi 32.222 euro, la seconda è il Trentino Alto Adige con 32.165 euro, terza la Valle d’Aosta con 31.993 euro. Il Pil delle regioni del Sud è preoccupantemente quasi la metà del Nord Italia: infatti, in Sicilia è pari a 17.488 euro, in Campania di 16.372 euro ed in Calabria 16.657 euro. A rendere ancora più allarmante la situazione, è il fatto che sempre al Sud oltre il 30% di laureati al di sotto dei 34 anni non lavora, il che ha fatto sì che tra il 2000 e il 2009 ci sia stata una fortissima emigrazione di 600.000 persone dal Sud al Nord; di queste, una su 6 è campano. Dalla Sicilia sempre nello stesso periodo sono emigrate 23.770 persone!
Questi dati ci devono obbligare ad agire presto e bene! Consci del fatto che senza Sud non c’è Italia e non c’è Europa. Questo semplice concetto è stato richiamato spesso dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ognuno di noi è chiamato oggi a fare un enorme sforzo e a dare il proprio contributo d’idee. L’Italia e il Sud che usciranno da questi anni di crisi saranno profondamente diversi dal Paese a cui eravamo abituati: i segnali sono inequivocabili, non possiamo ignorarli e non possiamo perdere le occasioni che ci offre questo momento storico.
Per quanto riguarda il settore agricolo, ritengo che ci voglia il coraggio di uscire dai luoghi comuni. L’agricoltura per l’economia italiana è fondamentale: di conseguenza le politiche agricole devono essere di ampio respiro e ambiziose. I fondi europei devono essere rimodulati, per essere utili e su misura delle imprese: questo deve essere fatto subito avvalendosi di specifiche deroghe, giustificabili con la devastante crisi mondiale.
La cosiddetta «Manovra Salva Italia» deve garantire veramente equità e sviluppo. Al momento per l’agricoltura non è così. Eque non sono certo l’Ici e l’Imu: queste sono doppie imposizioni peraltro su beni strumentali e non di lusso.
Per quanto riguarda poi il tema dello sviluppo, c’è poco. Noi vorremo essere liberi di produrre cibo e non burocrazia, ovvero il fascicolo aziendale dovrebbe essere l’unico documento da richiedere per le aziende agricole, evitando di far perdere ad un imprenditore agricolo dalle 104 alle 112 giornate lavorative l’anno per la burocrazia.
Il governo Monti sta facendo molto per riconquistare autorevolezza in Europa: purtroppo, per quanto riguarda l’agricoltura del Sud non è stato così. Esempio eclatante è l’accordo Euromediterraneo col Marocco, in cui si è deciso ancora una volta di garantire nuovi sbocchi commerciali ai prodotti agricoli del Nord Europa, barattandoli con le produzioni agricole del Sud, assestando così un doppio colpo: permettere alle produzioni mediterranee provenienti dal Marocco di bypassare le norme di condizionalità e di produzione imposte dalla Ue oltre all’annullamento dei dazi, ed eliminare il principio della libera concorrenza in un mercato globale; il tutto con parere favorevole sia del governo italiano che del Parlamento europeo.
Come potremo competere con un Paese che utilizza un milione e mezzo di bambini in agricoltura e paga 5 euro al giorno gli operai? La speranza è che il governo regionale, rendendosi conto di ciò che si prospetta per l’agricoltura isolana, intervenga sulla Commissione europea per individuare e ottenere dei correttivi che ristabiliscano equità nei rapporti commerciali, non disdegnando la possibilità di ricorrere alle vie legali.
Proprio però grazie a questa lunga e dura crisi che ha colpito con diversa intensità l’Europa e gran parte del mondo, dalla Sicilia – la terra di Sciascia che diceva «in Sicilia ogni uomo è un’isola» – abbiamo sentito la necessità di unirci 16 diverse sigle sindacali (agricoltori assieme a industriali, commercianti, sindacati, studenti). Abbiamo deciso di mettere da parte le nostre differenze, per lavorare su ciò che ci unisce. Dopo l’imponente manifestazione dell’1 marzo a Palermo con un fiume di 25.000 persone, abbiamo deciso di andare avanti, e forse piano piano proprio dalla Sicilia per la prima volta potremmo allargarci al resto del Sud per proporre le nostre idee di un nuovo Sud europeo, pronto a fare la propria parte, pronto a contribuire per far ripartire il nostro paese, l’Italia.
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