I vermi sono cresciuti e hanno ingoiato le lucciole della ripresa.
Alla vigilia delle elezioni di domenica prossima, le ragioni di previsione sono tante e tanto incerte da far pensare piuttosto a profezie: l’Ue (Commissione e Parlamento) chiudono un tempo disastroso, né solo per la severa crisi ma più per l’irrilevanza politica dei soggetti coinvolti.
Dovunque, né solo nell’Europa “mediterranea”, la posta riguarda equilibri e conflitti interni ad ogni singolo Stato dell’Unione; e la sfida attorno all’euro resta più simbolica che reale.
Allo stato dei fatti, perciò, l’Europa “come tutti dichiarano di volerla” appare più lontana che in passato: ci si accapiglia attorno all’euro (in Italia forse più che altrove, per via del pasticcio Napolitano delle “intese” larghe, strette, lunghe), ma di nuove idee non se ne vedono, dal momento che le ricette sono sempre quelle sterilmente consumate nel decennio trascorso. Europa a egemonia tedesca, Europa “americana”, Europa della globalizzazione (leggi: a rimorchio di “emergenti”, Cina e India soprattutto, che hannno lasciato la pelle del vecchio serpente), Europa del rigore o della ripresa.
Date le premesse, se tanto mi dà tanto, due cose sono certe: l’Europa nuovissima consumerà gli anni che ci aspettano leccandosi ferite e piaghe, impegnata nell’improbabile sterilizzazione delle vaste aree infette, nell’impotente chiusura al “contagio”. La matrigna del rigore che non ha prodotto austerità ma povertà vorrà diventare madre: madre generosa di balsami e placebo. E tutti aspettano il miracolo, sapendo – quei pochi che ne parlano, economisti e sociologi approssimativi vestiti ora da politologi ora da antropologi – che sotto il tappeto della futura politica dell’Europa i vermi sono cresciuti di numeri e di dimensioni, e hanno ingoiato le piccole lucciole della “ripresa”.
Eugenio Scalfari, l’unico apologeta delle “intese”, profetizza il passato alla maniera di Epimenide quando prevede, e concede l’egemonia tedesca e la vede garantita da Grosse Koalition. Quanto c’è in tutto ciò di autoconsolazione, o di ipocrita profetismo, di contro alla frana dei regimi moderati che il nazionalismo minaccia e l’affarismo dominante, duce la Bce, finisce di erodere?
Il terreno del conflitto si estende: si vuole la mano d’opera immigrata, ma si alimenta una guerra civile strisciante che ripeta il percorso secolare dell’assimilazione americana. Ne dà la misura l’orgia populista di falsi storici: il giornalismo di pennivendoli promossi a “storici” legittima il fiume di stupidaggini alla Grillo, come il capitalismo “all’italiana” prodotto del fallimento del nostro comunismo («siamo stati tutti comunisti»), o Stalin storico eroe della disfatta nazista, o la nuovissima “democrazia della rete” attrezzata all’imminente Norimberga!
E in alternativa la politica-spettacolo che pretende di tradurre in sequenza di immagini le carneficine delle due guerre mondiali, come pedagogia all’Europa “libertà prosperità pace” (delle bandierine che gli inutili prefetti commissionano da mesi per incarico di Napolitano). E non basta: ora che Renzi prova a tenere in mutande i sindacati, e Padoan promette misure “keynesiane” ad una società che ha perduto del medio ceto struttura e valori e (grazie alla stupidità statistica dell’inutile Istat) tuttavia parla di consumi interni quasi fossimo negli anni Trenta, e rinvia di mese in mese l’atto formale di una parabola che le ultime generazioni di “giovani” hanno chiuso, e il governo – impotente e cinico sul terreno della moralità e della formazione – dichiara aperta nell’attesa della cornucopia del “semestre italiano”.
E’ vero: se la Cina è più vicina a farsi lontana è l’Europa.
Cosa potrà accadere nei pochi giorni che ci dividono dal voto perché la distanza si accorci?
Il tema del ‘coraggio’ cui si attaccano Napolitano e Renzi non aiuta ad articolare quella tensione tra la speranza e la rabbia, in cui ancora nel breve tempo m’era parso possibile rappresentare il nostro auspicato presente: queste elezioni europee non aiutano a consolidare la speranza, e s’avvitano attorno agli errori dell’Euro. Un tempo futuro, che non sia una mera sopravvivenza, sarà – se non vogliamo impiccarci alla “rabbia” – persino più difficile del tempo della crisi: il caso siciliano della formazione non misura soltanto un’escrescenza della corruzione politica, dice lo stato confusionale del versante della scuola e della ricerca.
Impressionante la continuità nel governo del Miur affidata ai responsabili del disastro, dalle ciniche astuzie di Profumo, al precotto insipido della Carrozza, al premasticato della Giannini. Se avete stomaco provate a scorrere l’intervista concessa dall’ultima ministra a “L’Espresso”: se i “baroni” vorranno restare tali, l’arma segreta è la loro morte per assideramento, poiché non avranno legna per gli scoppiettanti camini!
Che dire?
Per il resto, l’emigrazione intellettuale è l’orizzonte della nuova ricerca: l’ingegno italico continuerà a produrre mirabili verità per il genere umano, e ne avrà i premi che ne assicura la base genetica. La razza al posto della nazione, che non è riuscita a dare allo Stato anima e contenuto. Affideremo all’Anvur anche questo mirabile indirizzo? Giuseppe Giarrizzo
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