Tutto lascia prevedere che la campagna elettorale per le Europee sarà caratterizzata da duri attacchi contro ” l’Europa matrigna” e contro i partiti di governo accusati di essere dei meri esecutori dei diktat che vengono da Bruxelles. Ciò è già avvenuto in Francia in occasione delle elezioni amministrative che hanno registrato il successo dello schieramento antieuropeista e la sconfitta dei socialisti di Hollande.
E’ significativo il fatto che diversi simboli depositati al ministero degli Interni contengano delle scritte contro l’euro. Ed anche dal fronte dei partiti di governo si annuncia che, dopo le elezioni europee, molte cose dovranno cambiare nei rapporti tra l’Italia e l’Unione europea.
Nella prossima campagna elettorale, insomma, prevarranno gli slogan antieuropeisti. E non solo sul versante di destra ma anche su quello di sinistra. La lista che sostiene come candidato alla presidenza della Commissione Alexis Tsipras, il leader greco che guida nel suo Paese un partito fortemente antieuropeista, potrà contare sul sostegno non solo della sinistra radicale tradizionalmente contraria all’Europa mercatista, ma anche di tanti europeisti delusi, come Barbara Spinelli, che chiedono non meno Europa, ma più Europa, e comunque non accettano più “questa” Europa. Il fatto che il candidato di questo schieramento sia un uomo politico greco, poco noto fino a qualche mese fa in Europa, la dice lunga sul forte valore simbolico di questa candidatura.
La Grecia sarà utilizzata in campagna elettorale come metafora di un’Europa ingiusta, profondamente divisa al proprio interno sulle strategie da adottare per combattere la povertà; un’Europa che ha messo in ginocchio il Paese più povero dell’Ue imponendo ad esso misure di austerità insostenibili. Ma non solo.
L’Ue viene contestata per la difesa ad oltranza che ha fatto dell’euro, anche a costo di mortificare il modello sociale europeo e le tradizioni costituzionali dei Paesi membri. Le autorità di Bruxelles, infatti, hanno addirittura imposto ad Atene un governo che non era gradito alla popolazione greca, pur di potere tenere sotto controllo i conti pubblici della Grecia, per attuare una politica dell’austerità che imponeva sacrifici rivelatisi insostenibili. E si è andati anche oltre. E’ stato impedito ai greci di svolgere il referendum sulle misure che il Parlamento greco avrebbe dovuto varare. Si è avuto, quindi, un vero e proprio commissariamento di un Paese membro dell’Ue, in deroga a quanto il Trattato consente.
La grande questione che dovrà essere affrontata dopo le elezioni europee, una volta eletto il nuovo presidente della Commissione, è proprio quella del rispetto da parte delle autorità di Bruxelles del Trattato, che nel corso degli ultimi anni ha subìto un tacito stravolgimento.
Le scelte fondamentali di politica economica che spettano agli Stati, attraverso i loro organi di governo politicamente responsabili, sono state avocate dal Consiglio e dalla Commissione europea. Si è così violato quel principio sancito nei trattati e nei documenti fondativi dell’Ue secondo cui l’Unione si basa sulla “unità nella diversità”, principio che comporta in primo luogo il rispetto dell’identità costituzionale degli Stati membri.
Il primo passo da compiere, se si vuole riorientare l’Ue in materia di politica economica, riguarda il primato del Trattato che va ripristinato, riconoscendo l’autonomia degli Stati nelle materie che sono di loro esclusiva competenza. Si tratta di superare l’attuale asimmetria democratica esistente tra decisori e destinatari delle decisioni prese da organi dell’Ue non soggetti ad alcuna responsabilità politica, superando quel modello di federalismo intergovernativo che giustamente viene definito da Habermas come una forma di «dominazione post democratica».
E’ questo un tema di grande attualità in un momento nel quale si chiede una interpretazione dei parametri di Maastricht che rispetti lo spirito e la lettera del Trattato in tema di tetti dell’indebitamento consentito agli Stati, soprattutto con riferimento alla possibilità di superare il mitico tetto del 3% rispetto al Pil.
L’articolo 2 del Trattato europeo assegna all’Unione l’obiettivo di una crescita sostenibile, non inflazionistica, rispettosa dell’ambiente, che dovrebbe creare un’espansione della base occupazionale. Una crescita che tenga conto dell’equilibrio che deve esistere tra la rinuncia alla sovranità nel settore monetario e le controprestazioni che sono dovute agli Stati membri. Per realizzare questi obiettivi l’Ue non poteva indebitarsi. Erano gli Stati, però, che dovevano compiere le scelte necessarie per promuovere lo sviluppo godendo di una piena autonomia in materia di politica economica, con l’esclusione della politica monetaria.
Erano gli Stati che dovevano scegliere gli strumenti idonei per uscire dalla crisi all’interno dei tetti di indebitamento consentito. È accaduto, invece, che di fatto ad essi è stato impedito il “governo” di questi strumenti, attraverso i regolamenti e l’accordo sul fiscal compact che riguarda il principio del pareggio di bilancio. Soprattutto il Regolamento 1466/97 ha modificato in modo rilevante quanto prevede il Trattato, che consente che i parametri di Maastricht possano essere superati in presenza di circostanze eccezionali ed in via temporanea. Il regolamento ha, invece, escluso questa possibilità.
Non pare dubbio che una recessione economica come quella che stanno affrontando i Paesi europei costituisca un fatto eccezionale, che mette in discussione il destino dello stato sociale, e quindi i diritti fondamentali garantiti dalle prestazioni pubbliche. Le modifiche introdotte per via regolamentare al Trattato rendono impossibili deroghe ai parametri di Maastricht che potrebbero facilitare la ripresa. Con il regolamento a cui si fa riferimento di fatto l’Unione europea si è assunto il compito di regolare le stesse politiche sociali. Si tratta di un atto palesemente illegale, posto in essere da politici-funzionari, del tutto indifferenti al problema dei costi sociali che l’austerità comporta.
C’è da sperare in una decisa iniziativa, assunta soprattutto dai leader progressisti che governano alcuni Paesi europei, che possa mettere in sicurezza prestazioni sociali che connotano la stessa forma di Stato dei Paesi membri. Si tratta di ripristinare spazi di sovranità che spettano agli Stati, affinché siano i governi nazionali, politicamente responsabili, a decidere in ordine alle forme di protezione dei diritti e, quindi, al futuro dello stesso Stato sociale.
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