Sarebbe morale rendere noti i costi dell’apparato europeo.
Mancano due mesi alle elezioni del Parlamento europeo e da noi non pare prender forma un’idea quale che sia dell’Europa. Un blando consenso esiste sul giudizio “politico” relativo a quel Parlamento e alla sua Commissione, che – crisi o non crisi – non lasciano certo una buona opinione: confusi, incerti, spauriti si son limitati a far ressa sotto l’ombrello della Merkel e della “virtuosa” Germania.
Oggi da più parti si invoca un’Europa diversa, la cui diversità (vedi dichiarazioni Hollande-Renzi) si misura su una auspicata attenzione alla “crescita” rispetto all’ordine del sistema bancario e al contenimento del debito pubblico. A far notizia, e non solo in Italia e per l’Italia, è però la vocifera damnatio dell’euro, una evidente e ambigua provocazione dai più, e dai meno un impraticabile ritorno alla lira.
Evanescente, e solo di bandiera l’opposizione tra i due fronti. Nessuno va oltre la condanna o l’apologia della moneta unica: e nel merito (debito pubblico, dimensioni ma soprattutto natura; mercato interno ed estero; formazione e ricerca; cultura consumata versus cultura prodotta; infrastrutture e territorio, ecc…) non disponiamo di un decente quadro, e nel caso italiano contraddizioni e caos dominano come in passato.
Le statistiche fornite da Eurostat (l’Istat al pari del Cnr è uno dei tanti, dei troppi enti inutili) sono “autorevoli” per il quadriennio 2006-2010, fin troppo segnate da autoreferenzialità, e attendibili in modo diseguale nei vari settori per gli ultimi cinque anni. Per l’Italia si continua a giocare sul dualismo Nord-Sud, anche quando le differenze tra le varie regioni sono tali, e tali gli squilibri interni ad ognuna, da suggerire come meglio affidabile il profilo del Centro (dall’Emilia agli Abruzzi, ed io suggerirei alla “dinamica” Basilicata), cui riferire il Mezzogiorno ed il Nord.
Ora se guardiamo all’Europa di Barroso (ferma alle “nazioni” del Novecento), noteremo come peculiare l’interna competizione e gerarchia territoriale assunta correttamente come misura di “sviluppo” (un termine da preferire a “ripresa”): cui confrontare la dipendenza di soggetti politicamente e culturalmente scadenti, che per anni hanno confidato di coprire con l’arroganza la incompetenza in re ed in radice.
Abbiamo appreso, e non da ora, degli scandalosi compensi e indennità e privilegi di cui godono ministri, parlamentari, manager pubblici: e non sono mancati negli anni con gli appelli gli annunci di tagli per motivi economici e/o etici.
Ma alla vigilia delle elezioni europee, non sarebbe “morale” rendere pubblici gli elenchi dell’apparato “europeo”, con compensi indennità privilegi? E finirla con questa ridicola condanna dell’euro, se solo si valuta il costo scandaloso di quel Parlamento e della Commissione? Quando ci decideremo a interrompere il circolo vizioso tra privilegi nazionali e privilegi europei?
L’Europa diversa non può essere com’è stata, e come continua a essere l’Europa degli sprechi e dei favori. Allo stato degli atti, non ho dubbi nel definire questa condizione il maggiore ostacolo alla creazione dell’Europa politica: ne cercate un precedente?
Provate a guardar da presso l’impero napoleonico, il miglior frutto di quella Grande Nation che legittimò la Francia rivoluzionaria alla conquista e “normalizzazione” dell’Europa repubblicana. E v’ha chi in un’Europa corrotta e patrona di ogni complicità speculativa tuttora invoca Spinelli e il sogno cui egli profetizzò successo di quella “conciliazione” tra Francia e Germania, solo scudo alla temuta Terza Guerra Mondiale?
Il caso italiano ha movenze e caratteri negativi che si sommano a quelli accennati. Chi delle nazioni europee ha liquidato con cinica fretta l’alta formazione e la ricerca in modi tanto radicali quanto l’Italia? E – vedi le ultime pronunzie della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) – par contento delle briciole degli altrui banchetti ove il privato cambia solo le etichette del pubblico champagne?
Giuseppe Giarrizzo la sicilia
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