Gli studi scientifici sui benefici della cannabis terapeutica continuano a ottenere risultati sempre più incoraggianti.
Dopo aver appurato ad esempio che non vi è alcuna relazione tra il consumo di cannabis e l’insorgenza della schizofrenia, un ennesimo passo avanti verso la valorizzazione di questa sostanza è stato compiuto: alcuni ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York hanno condotto uno studio su carie murine per osservare come il cannabidiolo, o CBD, principio non psicoattivo della marijuana, possa essere utilizzato contro la steatosi epatica, una patologia del fegato provocata dall’abuso di alcool che può determinare l’insorgere della cirrosi o dell’epatite.
La Sicilia, più di ogni altra regione italiana, è particolarmente sensibile alle patologie legate al fegato: basti pensare che, oltre a vantare il triste record italiano di casi di epatite c (pare siano ben 150.000 i siciliani compiti da questa patologia), qui vi sono anche diverse strutture eccellenti di rilevanza internazionale per la cura delle epatiti virali acute e croniche, una tra tutte il P.O. San Giovanni di Dio di Agrigento, nel quale si è di recente insidiata la Commissione Scientifica Aziendale per il PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico e Assistenziale) di questa malattia, nelle sue varie forme.
La steatosi epatica, comunemente detta fegato grasso, consiste appunto in un accumulo eccessivo di grasso nel fegato fino ad arrivare ad esserne superiore del 5-10% del peso. Causata in particolare dall’abuso di alcool, questa patologia può anche essere determinata da altri fattori, come ad esempio l’obesità, il diabete o l’ipertrigliceridemia, oppure il dimagrimento eccessivo dovuto ad una dieta scorretta, o altro ancora.
Da questa ultima ricerca, pubblicata nella rivista scientifica Free Radical Biology and Medicine, è emerso che le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie del CBD potrebbero essere utilizzate nella produzione di nuovi farmaci per contrastare il fegato grasso: l’analisi molecolare sui topi trattati con CBD ha infatti dimostrato un miglioramento degli stimoli di ripartizione di grasso, tanto da poter considerare la cannabis un elemento utile per prevenire la malattia.
Grazie alla ricerca in continua evoluzione, oggi la valutazione generale della cannabis sta cambiando: dopo la recente bocciatura della Fini-Giovanardi, si osservano sempre più numerosi casi di cronaca da cui si evince che curarsi con la marijuana terapeutica è finalmente una scelta accettata e convidisa. Oggi i tanti pazienti malati di gravi patologie, come tumore o sclerosi multipla, attendono soltanto l’autorizzazione per poter coltivare privatamente la marijuana con semi di cannabis autofiorenti, come ad esempio questi. Nonostante l’Italia permetta l’uso di cannabis per scopi terapeutici, infatti, i costi per curarsi sono molto elevati e la burocrazia ancora troppo complessa. Le associazioni italiane nate per promuovere e diffondere informazioni sul consumo di marijuana terapeutica stanno lottando per la legalizzazione, che in alcuni Stati esteri, come ad esempio il Colorado, è già stata approvata dalle istituzioni.
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