Per uscire dal guado, mediare è d’obbligo: la storia insegna.
È ormai luogo comune che allorquando si parla di compromesso fra contrapposte forze politiche si debba con la mente correre ad una tresca intollerabile avente come essenziale finalità il reciproco scambio di favori a prescindere (se non a discapito) dell’interesse pubblico. Ma non sempre è così.
La storia ci insegna che in situazioni particolarmente gravi una mediazione fra posizioni tradizionalmente contrapposte non solo risulta utile, ma assolutamente indispensabile per uscire dall’emergenza. Anche chi è di modesta scolarità ricorderà il famoso apologo di Menenio Agrippa, il saggio console romano che nel 493 a. C. convinse i plebei, isolatisi sull’Aventino, a scendere giù e a far pace con i patrizi ricordando loro che, come nel corpo umano ogni sua parte è indispensabile a tenerlo in vita, così in una società complessa le sue componenti non possono sopravvivere in maniera perennemente conflittuale.
Guardando nel passato gli esempi sono innumerevoli. Superfluo e fuor d’opera riferirsi a sanguinosi e violenti moti popolari diretti ad affrancarsi dall’oppressione di regimi dispotici. Vi sono state, infatti, situazioni in cui eventi di grande sofferenza sono stati causati da emergenze di tipo economico, superate con la buona volontà e il sacrificio di tutti.
Chi – un esempio fra tanti – ha avuto occasione di leggere il romanzo autobiografico “Le ceneri di Angela” dell’irlandese Frank McCourt, si sarà reso conto delle immani sofferenze dei suoi connazionali (e di lui stesso ancor giovinetto) nel secolo scorso per la carestia susseguita alla perdita per due anni consecutivi del raccolto delle patate, che costituiva il principale se non l’unico mezzo di sostentamento. In mancanza del quale moltissimi (specie bambini denutriti) morivano letteralmente di freddo e di fame. Eppure quel popolo riuscì a superare una angosciosa e angosciante emergenza con la solidale caparbia volontà di ripresa che animò tutti, benché lacerati anche dalla differente fede religiosa..
La situazione in Italia, sebbene differente da quella or narrata, rimane comunque preoccupante per l’area di povertà e di precarietà che di giorno in giorno va ampliandosi senza che si intravvedano univoci segni di ripresa e speranze di riemersione dalla crisi. Anche perché quotidianamente spuntano acrimoniose occasioni di litigio – con motivazioni magari serie, ma non essenziali – su ogni questione. Avviene, inoltre, che appena si accenna a un qualche timido tentativo di accordo fra le diverse fazioni politiche, non v’è chi, sussiegoso e inviperito, non denunci trattarsi di intollerabile “inciucio”, mentre sarebbe giusto convenire che almeno sulle regole (vedi legge elettorale) un accordo – quale che sia l’interlocutore, fosse anche il diavolo – non è assolutamente disdicevole, ma anzi utile.
I recenti scontri in Parlamento innescati dalle violente proteste dei grillini non possono che preoccupare per le modalità di attuazione davvero inammissibili, pur concedendo che nel merito le ragioni addotte possano sembrare non del tutto destituite di fondamento. Né, a giustificazione della condotta aggressiva, vale ricordare il drammatico ostruzionismo operato della sinistra comunista allorché si discusse della entrata dell’Italia nella Nato.
Si trattava, invero, di una opzione fondamentale e irrevocabile in campo internazionale, e cioè se stare al di qua o di là della cortina di ferro e quindi scegliere se rimanere nel novero delle democrazie occidentali ovvero pericolosamente avvicinarsi, se non omologarsi, ai paesi a guida totalitaria, gravitanti nell’orbita dell’Urss.
Le modalità di finanziamento della Banca d’Italia proposte dalla maggioranza ed oggetto della contesa, pur nella inopportuna forma del decreto-legge, non costituivano una novità mai dibattuta. E comunque, non pare che l’argomento meritasse l’assalto ai banchi del governo, quasi che lo scenario, per il furore patriottico dispiegato, fosse quello emblematico della presa della Bastiglia.
Ciò detto, non bisogna, però, esagerare nell’allarmarsi sul conto dei seguaci di Grillo evocando il pericolo di un ritorno alle finalità e ai metodi fascisti. Sarebbe attribuirgli potenzialità e strategie inesistenti. Piuttosto si tratta di volgari “goliardate” di pessimo gusto, vacue di sostanza, che provocano certamente un’indignata reazione, ma al tempo stesso, a pensarci bene, inducono alla commiserazione per quei milioni di elettori che hanno in buona fede sperato, e ancora pateticamente sperano, che in un futuro prossimo costoro possano guidare in maniera efficace e dignitosa quelle stesse istituzioni che oggi aspramente dileggiano.
Non v’ha dubbio, poi, che, a differenza di qualche iniziativa ragionevole, molte altre siano, a giudizio di tanti opinionisti, palesemente inopportune, pretestuose, inconcludenti e forse anche risibili, come la richiesta di “impeachment” nei confronti del presidente Napolitano, Da ciò sorge spontanea la considerazione che un successo elettorale del Movimento 5 Stelle nella prossima competizione europea complicherebbe, tra l’altro, i rapporti rigorosi ma ineludibili dell’Italia con gli altri partner.
È a dire che, sul tema di questi rapporti, la Lega non ha assunto una diversa posizione, presupponendo con facile demagogia che un’uscita del nostro Paese dall’Eurozona ci risolleverebbe dalla crisi, restituendoci crescita e prosperità. Tranne qualche eccezione, economisti e politologi ritengono, invece, che una tale decisione (ammesso che sia tecnicamente possibile) sarebbe addirittura disastrosa, anche se giudicano troppo stretti i limiti alla libertà di movimento imposti ai singoli governi in materia economica.
La verità è che noi italiani siamo ritenuti troppo poco affidabili, per cui ci hanno imposto limiti paragonabili – se è concesso scherzare sull’argomento – ad una specie di cintura di castità, che – si favoleggia – i crociati imponevano alle loro donne per assicurarsi che rimanessero fedeli durante la loro permanenza in Terra Santa. E va detto che ad essere cauti non hanno tutti i torti, in quanto l’Italia è stata sempre spendacciona («donna di facili consumi» la definiva Marcello Marchesi) e per lungo periodo ha vissuto al di sopra delle sue possibilità, consentendo gli scandalosi sperperi che solo oggi vengono investigati e censurati,
Se si è consapevoli della gravità della odierna situazione (nelle piazze gli operai sono in subbuglio e gli imprenditori in fuga) occorre che le principali forze politiche arrivino ad un compromesso senza timori o infingimenti, a costo di scontentare la rispettiva base elettorale. Ereditare un paese a pezzi, ottenendo consensi con argomentazioni e promesse demagogiche, non serve ai partiti in competizione.
L’essenziale è che, intanto, si salvi il salvabile, e si dimostri, con concessioni e rinunzie reciproche, unità di intenti almeno sugli argomenti più scottanti (chiamiamolo accordo programmatico oppure “inciucio”) in modo che i nostri governanti possano presentarsi compatti e credibili al cospetto delle autorità europee per ottenere quel margine di libertà di azione in materia economica senza del quale continueremmo a restare con l’acqua alla gola col pericolo continuo di affogare. A litigare su tutto il resto, poi, c’e sempre modo e tempo.
Mario Busacca La Sicilia
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