La distanza che separa le istituzioni dalle persone e dalla realtà rischia in Italia di diventare incolmabile: non basta più una legge elettorale, anche se riuscisse con la improbabile reintroduzione delle preferenze a responsabilizzare eletti ed elettori, né la riduzione delle Camere e del numero dei loro componenti e neppure qualche lieve modifica della vecchia geometria istituzionale, come l’abolizione delle Province, improvvisata e buttata in pasto all’opinione pubblica per placare la crescente rabbia dei cittadini.
Occorre capire dove sono i nodi che ostruiscono la democrazia in Italia, per reciderli e ristabilire un corretto rapporto fra cittadini e istituzioni, attraverso la rivitalizzazione della politica e delle istituzioni.
Non c’è più tempo e spazio per girare intorno al problema: la crescente delegittimazione delle Regioni, divenute portanti del nostro sistema democratico e determinanti per la vita sociale ed economica delle persone, delle famiglie e delle imprese, richiede riflessioni profonde e decisioni rapide e coraggiose, riformando radicalmente il titolo V della Costituzione, con una profonda revisione critica dell’esperienza che ha visto il fallimento dell’accentramento regionale.
La rilegittimazione delle istituzioni parte dal basso, dai Comuni che sono la base più solida, attraverso la sussidiarietà, per ricostruire una governance territoriale fondata su un compiuto decentramento dei poteri, rianimata dalla partecipazione e semplificata per renderla funzionale all’urgente recupero di competitività solidale del nostro sistema.
Ottenuto questo, ci sarà meno bisogno dello Stato e si potrà mettere mano anche al suo alleggerimento, nel più ampio contenitore europeo e internazionale.
Questa è la vera Autonomia indicata da Sturzo, non quella paralizzata e paralizzante del grumo regionale e della sua distruttiva inefficienza.
Qualsiasi riforma risulta però inefficace se non parte da un ampio dibattito, che coinvolga in primo luogo i cittadini e le loro associazioni, poi la cultura giuridica e le istituzioni scientifiche della materia e dopo, solo dopo, i competenti organi di decisione politica, quasi per ratificare quanto maturato con il metodo partecipativo e col consenso popolare (fino al referendum).
Non viceversa, come sta accadendo, anche perché è illusorio sperare che un’assemblea di tacchini deliberi il pranzo di Natale!
Occorre il metodo indicato e sperimentato da Luigi Sturzo, mediante il quale un Paese arretrato, tardivamente unificato e sottoposto ad un ventennio di dittatura, è divenuto in pochi decenni una democrazia avanzata, con una economia che, pur squilibrata, è tuttavia ancora una delle più solide del Pianeta, tanto da sopportare a lungo l’inceppamento delle istituzioni.
Come? Allargando il dibattito e indirizzando su di esso, interpretandola, una protesta che rischia altrimenti di straripare nella violenza.
La complessa governance di questo sistema stratificato di autonomie, di origine medievale (Comuni), ottocentesca (Stato suddiviso in Province) e novecentesca (Regioni) va così rivisitata e semplificata, per risolvere la sua crisi interna e affrontare le sfide poste dal declino dell’Europa, dal nuovo Mediterraneo e dal necessario riposizionamento nel mutato scenario globale, grandi e forse uniche opportunità rimasteci, sopratutto per il Mezzogiorno.
Per questo la Fondazione Sturzo propone di “ripartire da Caltagirone” oggi e domani, prima che si improvvisi una frettolosa e controproducente legge meramente sostitutiva delle Province, invitando a partecipare cultura e società, politica e istituzioni, in primo luogo sindaci e amministratori locali, ma soprattuto giovani “liberi e forti” (ricorrono proprio in questi giorni i 95 anni dell’Appello di Sturzo) che vogliono contribuire a progettare e costruire il nuovo Bene Comune.
Francesco Attaguile La Sicilia
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