Nel voluminoso ma quanto mai interessante Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese (2013) un paragrafo è dedicato al Mezzogiorno visto come problema irrisolto. Val la pena di rileggerlo e commentarlo.
Si ha l’impressione – si legge nel Rapporto ed è una valutazione da sottolineare – che la questione meridionale oggi sia di fatto derubricata da ogni programma politico, da ogni agenda, aggiungiamo noi e da qualsivoglia manifesto redatto per massimizzare effetti comunicativi.
Perché, viene subito da chiedersi?
La questione meridionale, sostiene il Censis, è troppo complessa, articolata, poco spendibile nelle campagne elettorali. Una volta c’era la Lega che con la sua rivendicazione d’indipendenza, osserviamo noi, obbligava in qualche modo a ritirarla in ballo come condizione per l’unità del paese.
Oggi la Lega ha ridimensionato il suo interesse territoriale e si è aperta a temi più “internazionali”: l’euro, lo ius soli, gli immigrati che tolgono lavoro e risorse. Sicché, come conseguenza, non c’è più necessità di far scudo alla Padania con i bisogni della Terronia.
Siamo in presenza di un triste ossimoro, secondo il Censis: il ritardo di sviluppo del Sud possiamo considerarlo come un inesistente problema irrisolto.
Quali le coordinate del problema: intanto il contributo decrescente alla creazione di ricchezza del paese; la contrazione della base produttiva; la criticità del mercato del lavoro; un livello di ricchezza pro-capite pari a poco più della metà di quella del centro-nord con un’altissima concentrazione di famiglie interamente povere. Ancora, annotiamo noi prendendo spunto da una recentissima ricerca della Svimez, un vero e proprio “spread” di svantaggio per il Sud nell’offerta dei servizi sociali a livello di enti locali.
Qualche elemento positivo: la crescita registrata nel settore turistico, la possibilità di valorizzare il patrimonio storico artistico locale, la presenza di ristrette nicchie di imprese che operano in ambiti manifatturieri e medio-alta tecnologia.
L’analisi del Censis non considera, forse dandoli per scontati, fenomeni di criminalità organizzata, corruzione, basso livello etico della classe dirigente. A cui si accompagna, al momento, un insuccesso, speriamo temporaneo, nella diffusione di strumenti per la legalità, voluti fortemente da Confindustria ed altre associazioni d’interesse, come il rating per l’accesso al credito e le white liste per partecipare agli appalti senza necessità di presentare documentazioni che attestino estraneità alla mafia.
Quel che più preoccupa è il futuro. Riavviciniamoci all’analisi del Censis. Forte è l’impressione che in territori, come vaste aree del Centro Nord, in cui la struttura manifatturiera è più diffusa e di più lunga tradizione, dove l’apertura ai mercati esteri è più accentuata e dove vi sono integrazioni intelligenti tra industria e servizi avanzati, la crisi abbia avuto un impatto meno concentrato rispetto al Mezzogiorno, caratterizzato da sistemi produttivi più frastagliati e meno competitivi, pur non mancando, riconosce il Censis, elementi di eccellenza. Ne deriva pessimismo per una ripresa della crescita anche perché il Sud mostrava dinamiche di cambiamento e di sviluppo già molto flebili prima del 2008.
Che fare allora? C’è una risorsa da utilizzare: i fondi europei del prossimo ciclo 2014-2020. E da più parti, la Svimez in testa, sono state disegnate e proposte precise strategie: riqualificazioni urbana, efficienza energetica, processi di internazionalizzazione, riposizionamento dell’offerta turistica, industria culturale. A patto di un rinnovamento burocratico, manageriale, politico. Obiettivo le cui strategie di conseguimento purtroppo dipendono da variabili fuori dal campo di controllo degli istituti di ricerca.
Mario Centorrino lasicilia
Sicilia Notizie Cronaca Attualità News Politica Economia Lavoro Enogastronomia Sport Viaggi