La giornata internazionale. Necessario acquisire consapevolezza anche culturale della parità di genere.
Non è solo una questione di donne. Finché saranno solo loro a parlare di femminicidio o di violenza alle donne, difficilmente in Italia le statistiche drammatiche registreranno un’inversione di tendenza.
Una certa resistenza degli uomini a parlarne o a prendere posizione, lasciando alle donne le proteste, come lo sciopero delle donne indetto per domani nella scuola, nei trasporti, nella sanità sembra il sintomo di un cambiamento culturale ancora non completato.
Oggi è la giornata internazionale conto la violenza sulle donne, ma per combatterla servono gli uomini.
Il femminicidio è quasi sempre la forma estrema di una violenza diffusa legata al potere che gli uomini hanno sulle donne, innanzitutto per disparità economica. Nel momento in cui questo potere comincia a venire meno per l’accresciuta autonomia femminile, parallelamente aumenta la reazione violenta, secondo una spiegazione sociologica del fenomeno condivisa da tanti. Tesi che lo stesso presidente Giorgio Napolitano ha richiamato appena qualche giorno fa: «È proprio la maggiore eguaglianza conseguita dalle donne sul lavoro e nelle professioni che può suscitare pericolosi atteggiamenti di reazione».
E l’unica strada per battere la violenza è acquisire la consapevolezza anche culturale della parità tra uomini e donne. Marcare la differenza con un uomo che reagisce con violenza è il compito più urgente che gli uomini dovrebbero assumersi oggi nella società. Al centralino antiviolenza 1522 sono state migliaia le telefonate in questo ultimo anno, 100 donne sono state uccise e la campagna delle Pari opportunità è rivolta alle giovani donne: «Se un fidanzato ti picchia, cambia fidanzato». Servono «altri» uomini, dice il frame di Intervita che ha presentato la prima ricerca sui costi economici della violenza, 17 miliardi l’anno.
La violenza di genere non è solo aggressione fisica di un uomo contro una donna, cosa questa che farebbe dire a moltissimi uomini «io non lo faccio», ma include anche vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, persecuzioni. Compiute da un uomo contro una donna in quanto donna. L’uccisione di donne da parte di mariti, compagni, ex o familiari – ogni tre giorni in Italia un uomo uccide una donna – è solo la punta di un iceberg che coinvolge, nelle diverse forme della violenza, 6 milioni di donne nel nostro Paese. Leggere i resoconti delle sedute dei centri di aiuto per uomini maltrattanti, solo 11 in Italia, è compiere un viaggio nella quotidianità della violenza di genere.
In preparazione della giornata di domani che in tutta Italia sarà dedicata alla sensibilizzazione su questo tema, c’è una campagna che parte da lontano, quasi un anno fa, ma che sta facendo parlare proprio perché tira in ballo il genere maschile, il grande assente della comunicazione sociale sul femminicidio.
Uomini contro la violenza sulle donne è lo slogan, con i volti noti di Alessandro Gassman, Luca Argentero, Claudio Bisio, Daniele Silvestri, Cesare Prandelli e tanti altri che in questi giorni stanno aderendo, della campagna “NoiNo. org”, un progetto promosso dalla Fondazione del Monte, in collaborazione con l’Associazione Orlando, realizzato dalle agenzie Comunicative e Studio Talpa. La campagna cerca di coinvolgere gli uomini, per farli esporre e impegnarsi in prima persona, fare community nel blog “Uomini contro la violenza sulle donne”.
L’iniziativa parte dall’Emilia-Romagna, da Bologna, da Ravenna, da Faenza e sono tante altre le realtà che stanno aderendo, a cominciare dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma (Roma e il Lazio dicono no). Per i maschi impegnarsi significa stringere il cerchio contro chi, a vari livelli, spesso subdoli, mortifica, ferisce, tormenta, significa sottolineare che coloro che agiscono così «non sono uomini più forti di noi, sono solo violenti». A.M.
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