Nessuno può nascondersi, dietro a un cumulo di “munnizza”. Quando si parla di traffico illecito di rifiuti tossici in Sicilia anche le istituzioni devono assumersi le proprie responsabilità.
Anche perché, oltre al lavoro non sempre facile di magistrati e forze dell’ordine, molti aspetti di questo business miliardiario sono nero su bianco. Anche agli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Lo stesso organo che qualche giorno fa ha desecretato i verbali dell’interrogatorio del boss pentito dei Casalesi, Carmine Schiavone che già nel 1997 descriveva l’iter dei veleni verso il Sud, compresa la Sicilia. Dopo un lungo e approfondito viaggio in tutte le realtà dell’Isola, i parlamentari nella “relazione territoriale” dell’ottobre 2010 (in tutto 133 pagine, fra flop della raccolta differenziata e degli Ato Rifiuti, l’affaire dei termovalorizzatori e burocrazia nemica quando non corrotta) dedicano un ampio passaggio su «infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti in Sicilia».
Cosa Nostra è dentro i rifiuti su tre livelli. Il primo «attraverso le tipiche attività estorsive», il secondo «nel controllo, diretto o indiretto, sfruttando anche complicità di amministratori pubblici, delle attività del settore fra cui gestione di discariche, trasporto e forniture», il terzo, «più invasivo e penetrante» è è quello della «gestione diretta delle principali attività del settore». Uno spazio anche ad «indagini a carico di soggetti titolari di attività estrattiva di cava, i cui titolari risultano imputati in separati procedimenti per associazione a delinquere di stampo mafioso».
Si cita anche un’audizione dell’attuale presidente del Senato, Piero Grasso, all’epoca procuratore nazionale antimafia, che conferma la «massima attenzione riservata alle cave», che «quando si esauriscono diventano degli ottimi contenitori per i rifiuti da smaltire».
Grasso annuncia di aver avviato «un monitoraggio di tutte le cave, utile sia per controllarne la titolarità» sia «per verificare se le persone titolari abbiano relazioni con appartententi alla criminalità organizzata». Un lavoro sulle miniere attive (per le forniture di calcestruzzo e inerti), sia su quelle inattive, «se siano utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti». Su questo argomento la commissione parlamentare d’inchiesta arriva a una conclusione: le cave siciliane vengono «pressoché sistematicamente utilizzate per realizzare discariche abusive e gestite da soggetti che risultano avere collegamenti con le associazioni a delinquere di stampo mafioso». Un plurale che apre lo scenario del “patto dei veleni” fra Cosa Nostra e Casalesi, più che mai aperto fino a oggi.
Ma. B.
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