La storia, si dice, è maestra di vita. Non così la cronaca che, almeno ai politici, non insegna proprio nulla.
Ne abbiamo avuto tutti i giorni la prova e di recente la riprova con l’accadimento di episodi che hanno visto come protagonisti la Cancellieri e l’ex premier Berlusconi, i quali, pur in contesti differenti, hanno dato modo alla cronaca di imperversare impietosamente.
Più ingenua la ministra, che si è lasciata andare (forse soltanto per compiacere l’interlocutore) ad un giudizio affrettato sulla giustizia, giudicandola non equanime nei confronti dei Ligresti, suoi amici da remotissima data, esternando nei loro confronti la propria (astratta) “disponibilità”.
Che di fatto si esaurì nella segnalazione al dipartimento penitenziario del precario stato di salute di una giovane donna, componente della (chiacchierata) famiglia, in stato di detenzione e poi liberata per autonoma decisione della magistratura. Donde la richiesta di dimissioni, urlata da più parti.
Guardando al passato, emerge fra i ruderi della memoria l’esempio emblematico delle dimissioni del potente ministro degli Esteri, il democristiano Piccioni, per l’arresto del figlio Piero, poi assolto dall’accusa di essere implicato nella morte della giovane Wilma Montesi. Ovvero le dimissioni rassegnate dal ministro delle Difesa, il democristiano Ruffini, dopo l’evasione dall’ospedale militare del Celio del criminale nazista Herbert Kappler. Eppure nessuno dei due aveva avuto in quelle vicende una qualche pur labile forma di responsabilità.
Sorge spontaneo il paragone con il comandante di una nave che decide di affondare con essa (così usava un tempo) pur non avendo colpa nel naufragio. E’, conseguentemente, sommessa opinione di chi scrive che la ministra, presentando, prima che divampassero le critiche, volontarie dimissioni, avrebbe fatto un “beau geste”, evitando ai partiti, che (carissimi nemici!) sostengono il gracile governo, un serio imbarazzo e feroci polemiche.
Quanto al Cavaliere è facile constatare che è davvero inemendabile. Né la storia né la cronaca gli hanno insegnato alcunché in questi ultimi venti anni in cui si è segnalato quale “gaffeur” impenitente. Per vero, paragonare la situazione dei figli (a suo parere guardati a vista dalla giustizia) agli ebrei perseguitati da Hitler è segno univoco di insensatezza. Ma anche di sprovvedutezza, non potendo egli ignorare quale sarebbe stata la reazione del mondo civile, e della comunità israelita in particolare, alle sue parole, giudicate blasfeme. Da ciò traspare evidente la sua tetragona convinzione che, qualunque cosa dica o faccia, una fetta di italiani acriticamente gli crede – e lo applaude – ovvero, pur non credendogli, non oserebbe comunque disapprovarlo apertamente.
E’, di certo, umanamente ben comprensibile che quanti gli stanno attorno, sodali o beneficiati, lo difendano. Ma sostenere che l’intervento della Cancellieri (nell’ambito del suo dicastero) sia paragonabile all’indecente (non so se delittuoso) intervento fuori misura di Berlusconi per liberare “la nipote di Mubarak“, è un fatto che supera ogni limite di ragionevolezza e – direi – di onestà intellettuale di chi lo sostiene. Nessuna acrobazia dialettica, infatti, può indurre a credere che abbia ragione.
Ma è il giuoco delle parti, direbbe Pirandello, che nella omonima commedia descrive personaggi ambigui: cioè Leone, marito tradito ma consenziente, Silia, moglie infedele che pretende tuttavia tutela per l’oltraggio subito da terzi, e Guido, l’ingenuo amante che avendo assunto nel talamo stabilmente le veci del marito, è indotto da costui a battersi (e morire) in duello al suo posto, perché “marito di fatto” e quindi tenuto a vendicare la onorabilità della (sua) donna.
E’ questa la situazione che, in un certo senso, succede nella presente vicenda politica. C’è la tresca (non matrimonio) fra centrodestra e centrosinistra, i cui esponenti sono partecipi di un governo che solo ironicamente può definirsi di larghe intese, avente, nelle intenzioni, come principale intento quello di allontanare il Paese dal baratro. Ma il precario accordo è destinato a cadere, a parere dei “lealisti”, indomiti sostenitori del Cavaliere, nel caso in cui costui non sarà salvato dalla estromissione dal Senato. E perciò si pretende l’appoggio dei democratici, benché tradizionali irriducibili nemici di Berlusconi. Ma per farlo, questi dovrebbero fingere di credere che egli è innocente vittima di una implacabile persecuzione giudiziaria, non avendo commesso alcuno dei gravi reati che (per odio politico, si intende) gli vengono addebitati.
Un risultato, questo, che (forse) avrebbe potuto riscuotere successo nel segreto dell’urna senatoriale. Magari fidando sugli stessi imboscati che affossarono Romano Prodi, candidato alla presidenza della Repubblica. Ma poiché è stato deciso che la votazione dovrà svolgersi a scrutinio palese, ne consegue che i parlamentari dovranno dichiararsi a viso aperto senza possibilità che alcuno sia indotto a equivocare su chi è tenuto a salvare (per la forma) la sopravvivenza del governo, che coincide (in sostanza) con quella di Berlusconi.
E, in mancanza, se è vero che il padre “effettivo” del governo Letta è considerato indubbiamente Napolitano, nel gioco delle parti si pretende sia proprio lui (con la grazia?) a restituirgli agibilità politica in luogo dei partiti.
E’ poi paradossale che in questa situazione le 5 Stelle non stiano a guardare, come quelle evocate da Cronin. Infatti i grillini a torto o a ragione sparano a destra e a sinistra contro tutti – dal presidente della Repubblica ai ministri – e siccome prima o poi qualcuno cadrà e qualche altro, comunque, si farà male (le divisioni sono laceranti in entrambe le principali compagini politiche), essi potranno menare vanto di averle squalificate agli occhi degli elettori, proponendosi come salvatori della Patria, liberata da inetti e imbroglioni. E non v’ha dubbio che milioni di brave persone (ahinoi!) ci crederanno.
Mario Busacca
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