Le ennesime risse nei Palazzi e gli scandali a macchia di leopardo in tutt’Italia spingono a chiedere: «Ma ci sono o ci fanno? ». E ci si domanda se o fino a quale punto davvero le quotidiane, insopportabili scaramucce tra le fazioni giustificano la repulsione provata dalla gente perbene.
Le tortuosità dell’animo umano e le innumerevoli variabili della vita suggeriscono che, guardando meglio e senza fretta, in Italia come altrove è possibile scorgere anche profili e contenuti nobili della politica. Per farla breve: non tutto è marciume malgrado gran parte dei politici e di chi sta con loro (è stato calcolato un milione di italiani) facciano di tutto per galleggiare nella melma.
Esempio: il voto segreto o palese sulla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore in seguito alla condanna definitiva per frode fiscale, oggetto di polemiche a non finire, mette a nudo le rinnovate reprimende dei berluscones contro le “toghe rosse” che secondo loro perseguitano il leader del centrodestra. Ma consente pure di ragionare sulla giustizia, sull’obbligo che – senza eccezione alcuna – ognuno ha di accettare le sentenze nel pieno rispetto dei principii sulla corretta, irrinunciabile applicazione delle norme.
E in proposito le osservazioni e le riserve – spesso demagogiche – si estendono all’insieme del “pianeta giustizia” che richiede la terzietà e l’apoliticità dei magistrati su cui ancora nei giorni scorsi hanno parlato sia Giorgio Napolitano sia il vicepresidente del Csm, Michele Vietti.
Si vede bene che siamo all’essenza stessa della civiltà democratica e di quella normalità che eccessi e scorribande fanno desiderare oggi più che mai. Certo gli esponenti politici che indicano le linee positive meritano plauso e di non finire nella logica del “tutt’erba in un fascio”.
Non deve sfuggire l’importanza di quanto sta accadendo nei due maggiori raggruppamenti politici del Paese. Nel Pd con la vivacità e le diversità nella ricerca di una forte leadership, con i contrasti ideologici e di metodo fra post comunisti ed ex democristiani, con le debolezze e le ansie di un partito che ha cambiato troppe sigle (e non soltanto). Nel Pdl, ora fra l’epilogo del berlusconismo fideistico (e finanziato) e fra i vagiti della rinata Forza Italia, con la resa dei conti tra i gerarchi di Berlusconi e i cosiddetti governativi i quali non sembrano disponibili tanto a sottostare ancora a un Grande Capo quanto a sopprimere le larghe intese. Vanno dati per scontati fremiti e tensioni che peraltro tanti commentatori dei giornali e tanti conduttori radiotelevisivi dovrebbero decidersi a prospettare con la capacità e la voglia di dare il giusto peso a molte esternazioni di personaggi farseschi che tengono che in fondo contano poco o niente.
La priorità dunque non spetta a Berlusconi e ai suoi troppi problemi (abbiamo nostalgia di un’informazione senza il Cavaliere come leit-motiv!), ma a cause ed effetti della recessione e delle mancate riforme, alle ragioni del bipolarismo e della pluralità senza innaturali forzature come il Porcellum.
Un grande Pontefice e un capo dello Stato galantuomo ci aprono gli occhi ogni giorno e danno fiato alla speranza della gente, soprattutto dei giovani senza lavoro, disorientati, e dei sei milioni di italiani oltre la soglia della povertà. Papa Francesco ammonisce contro le deviazioni provocate dal denaro. Napolitano denuncia «il disprezzo del bene comune». Si può dire tutto e il contrario di tutto sulle effettive capacità di Matteo Renzi, sulle chances di Angelino Alfano, sul populismo capellone di Beppe Grillo, sul prossimo semestre europeo a guida italiana e sulle elezioni europee di primavera.
Ma, per carità, andiamo sempre a votare ogni volta che ci spetta e non condanniamo in toto i politici. Infatti, i responsabili dello sfascio non sono soltanto fra loro. Pensiamo ai mafiosi, ai corrotti e ai corruttori, agli evasori fiscali, alle autoassoluzioni che ci concediamo quando ci arrendiamo all’andazzo che ci ha spinge sull’orlo del baratro.
Antonio Ravidà lasicilia
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