Obiettivo: chiudere la stagione rovinosa delle larghe intese.
I fatti, la scena fuori e dentro il Parlamento, sono passati come un film sotto gli occhi di tutti: Alfano ha vinto (forse!) la sua sfida, Berlusconi sconfitto e umiliato esce di scena prima che Forza Italia appresti l’elisir di Dulcamara. Neppure la trombetta dei “lealisti” riesce a note guerriere: farsa, bouffonnerie commenta la stampa straniera.
E le larghe intese?
Un abito di Arlecchino che Letta ripresenta nascondendone le toppe. E per esse il solito annuncio: stabilità subito, a fine anno la ripresa.
Ma chi, tranne Napolitano e Letta, e i compagni del coro (a dirigerlo è Mauro, che in attesa fa le prove da Monti) è disposto a credervi? Confesso di non avere curiosità, e ancor meno interesse per la “stabilità politica” che dovrebbero assicurare due partiti distratti da ricerche impotenti di identità e di progetti.
Provate a chiedere al Pd e a quel che resta del Pdl un’idea d’Italia: vi risponderanno all’unisono che la vogliono “moderata”, bipolare, ma altalenante piuttosto che alternante. L’idea è di “giovani amanti” seduti, fianco a fianco, sulla tavola di un’altalena, e a muoverla è il papà Napolitano.
E’ vero, tra una settimana il monte partorirà il topo della “legge di stabilità”, di cui l’unica cosa certa alla data è la profezia della ripresa che illuminerà d’immenso il 2014: e, grazie al semestre italiano, conosceremo presto le fattezze della “grande Europa”.
Tutto il resto, i servizi (scuola, salute, mobilità) rigenerati dalla “ricerca”, sarà spalmato fra il 2025 ed il 2050. Con soddisfazione di Barroso e Rehm, e la benedizione di Draghi e della Lagarde: intanto abbiamo, accanto al Tesoro, l’ennesimo talento per la spending review.
Se il Pdl trova Alfano, il Pd ritrova – oracolo di Delo – Massimo d’Alema (ma l’ombra di Minosse “mediterraneo” incombe). E tutti invocano lo strumento principe della “necessaria” diversità: le elezioni, e la vera misura del successo sta, lo sappiamo da sempre, nella riduzione del numero dei delusi (astenuti, incerti). Quanto alle larghe intese, che qualcuno vorrebbe ribattezzare grosse Koalition, le basi dei partiti maggiori le hanno tollerate, subite, schifate: assumendole quali erano, testimoni di una crisi ormai equiparata agli eventi “fatali”, come i terremoti, i diluvi, gli tsunami, dopo le “dieci piaghe” che Mosè ottenne dal Signore.
La domanda, ora che Berlusconi non fa ostacolo, è invece quella di un Paese finalmente “normale” governato da un ceto politico meno indecente di quello che crisi politica, economica, morale ci hanno dato dopo la “grande illusione” di Mani pulite. Un Paese di ladri, di furbi, di parassiti, di evasori: questa è l’Italia nel disegno sommario della globalizzazione e delle diaspore. Da qui dovremo, piaccia o no, partire per tornare a voler essere un Paese normale.
Obiettivo: chiudere al più presto la stagione, tanto rovinosa, delle larghe intese, donatori di sangue ad un’Europa che non c’è, e che quelle scorte provviste dagli ingenui si è venduta… al mercato della finanza speculativa.
La corruzione ha qui da tempo travolto gli argini: magistratura e Chiesa sono diventate i simboli di un’atroce moralismo antipolitico. Si deve a loro la denuncia: era scontato che non avrebbero generato la soluzione. Il “salva-Italia” di Monti, un’operazione “al massacro” (che è sciocco definire un suicidio) ha trovato un prolungamento nella “furbata” di Berlusconi, resa possibile dal pasticcio Pd in materia di scelta del capo dello Stato: Berlusconi ha giocato con astuzia la carta della rielezione di Napolitano e della grande coalizione, ha messo in un angolo il Pd, e ha imposto a Letta gli impegni elettorali del Pdl. Gli ha lasciato l’orpello ridicolo del premio di Barroso, e ha preso per sé la scorciatoia elettorale: la batosta giudiziaria e quella del lodo Mondadori lo impegnavano tuttavia in un logorante incontro con il Pd (Napolitano pronto ad aiutare, ma Letta privo di sponde nel partito); così la restaurazione di Forza Italia si è risolta in una lacerazione che il fondatore non è riuscito a comporre. Così alla Camera «con una decisione sofferta», Berlusconi ha scritto l’epigrafe di una parabola fin troppo lunga, una volta che i numeri gli hanno dato torto.
Il resto, questo inutile prolungamento della tortura fiscale e del declino morale degli ultimi due anni, prende senso dalle tensioni e assenza di progetti dei due partiti maggiori, dall’anfanare di Grillo (e del suo guru, un cretino supponente), e durerà – senza stabilità e senza ripresa – fino al nuovo assetto per Pd e Pdl.
Il che vuol dire fino alle elezioni europee del prossimo febbraio: se tornerà a vincere il centrodestra, l’augurio è che a reggere l’Ue non sia un inutile arnese tipo Barroso. In ogni caso l’augurio è che la preghiera sollecitata da Letta ad Assisi trovi ascolto: ancora una volta la magistratura e la Chiesa.
Servirà stavolta la lezione alla politica?
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