L’idea secondo cui scendere a patti con l’opposizione sia un fatto di per sé disonorevole, anche quando questa è l’unica strada per prendere decisioni indifferibili, costituisce un punto fermo di quella cultura del bipolarismo muscolare che ha caratterizzato la vita politica della seconda Repubblica.
Anche nelle ultime settimane sia nel centro-destra che nel centro-sinistra sono stati in molti ad attaccare il governo, accusato di vivacchiare sulla base di inciuci inconfessabili.
Eppure, in assenza di una maggioranza autosufficiente, il “governo di scopo” serve soprattutto a scongiurare il vuoto di potere che sarebbe prodotto da un’altra elezione anticipata. Questo governo rappresenta l’unica risposta che si può dare ad uno stato di necessità prodotto da una pessima legge elettorale qual è il “porcellum”, sempre che si riescano ad affrontare alcuni problemi urgenti che riguardano l’economia e le istituzioni.
Si tratta di una strada tutta in salita, considerata anche l’ostinazione con cui i “falchi” dell’uno e dell’altro schieramento creano quotidianamente problemi al governo per accelerarne la caduta. E ciò nonostante l’attuale coalizione, stando alle intenzioni dichiarate dai partiti coinvolti, sia una coalizione a termine che non diverrà mai un progetto politico. Essa non può costituire una minaccia per l’identità dello schieramento di centro-sinistra che ha avuto più voti alle elezioni e deve, quindi, in qualche modo garantire la governabilità del Paese; né può rappresentare una sconfitta umiliante per l’opposizione, che si dimostra invece lungimirante nel momento in cui si scommette direttamente per consentire che si facciano delle riforme che servono al Paese e che le consentirebbero domani di affrontare in modo credibile una consultazione elettorale che la veda impegnata a conquistare la guida del governo.
Le larghe coalizioni hanno svolto, del resto, un ruolo fondamentale in alcuni passaggi difficili della vita politica italiana. Si pensi alla costruzione, dopo gli anni della dittatura, della Repubblica, quando si trattava di pacificare il Paese, di ricostruirlo, di abituare gli italiani al pluralismo politico; o all’assunzione di comuni responsabilità da parte dei maggiori partiti di governo e opposizione negli anni della lotta al terrorismo. Eppure quelli erano tempi in cui le contrapposizioni ideologiche erano molto forti.
Questo tipo di collaborazione tra schieramenti che poi alle elezioni sono destinati a contrapporsi non ha mai prodotto scandalo in democrazie mature, di fronte ad insuperabili problemi di governabilità che si registrano nonostante l’assetto tendenzialmente bipolare del sistema politico. Basti ricordare le collaborazioni tra SPD e CDU, in Germania, o la “coabitazione” in Francia tra un Presidente della Repubblica e un Presidente del Consiglio di diverso orientamento politico. E anche negli Stati Uniti accade sovente che, non coincidendo le elezioni per il rinnovo del Congresso con le elezioni presidenziali, gli elettori mutino opinione nel lasso di tempo che corre tra le due elezioni, e che quindi il Presidente non disponga della maggioranza dei congressman e si veda costretto a cercare la collaborazione di una maggioranza che gli è ostile.
Il fatto, insomma, che il governo Letta abbia, almeno sulla carta, il sostegno del centro-destra e del centro-sinistra non rappresenta un vulnus per un sistema di governo fondato sull’alternanza tra due schieramenti. E ciò pare incontestabile soprattutto se si pensa che l’attuale sistema elettorale è frutto di un calcolo perfido, quello di favorire il formarsi di una diversa maggioranza tra Camera e Senato, proprio allo scopo di impedire al probabile vincitore delle elezioni di potere governare.
Non deve sorprendere il fatto che coloro i quali hanno voluto il “porcellum“, oggi, lavorino per mantenerlo in vita. E sono gli stessi che manifestano tanta indignazione di fronte alle larghe intese, ritenute un vero e proprio tradimento consumato ai danni degli elettori.
L’attuale sistema elettorale ha in un certo senso drammatizzato l’anomalia italiana di un bipolarismo nemico della stabilità politica. Sin dal primo momento il nostro è stato, infatti, un bipolarismo malato, che ha consentito alle ali estreme dello schieramento politico di dettare la linea alla quale si sono dovuti attenere i grandi partiti baricentrici che si disputavano la guida del governo.
Questa condizione è apparsa chiarissima soprattutto in questa legislatura, quando si è trattato di scegliere una personalità a cui dare l’incarico per la formazione del governo e di eleggere il capo dello Stato. Abbiamo visto all’opera destabilizzatori, con diversa collocazione politica, impegnati a costruire maggioranze che non avevano i numeri per esistere, che avrebbero dovuto realizzare dall’oggi al domani una sorta di palingenesi del sistema politico. Costoro spesso hanno avuto buon gioco, nel corso del ventennio della seconda Repubblica, nello sfasciare le maggioranze espresse dagli elettori per portare il Paese alle elezioni, utilizzando il “fattore B” (il fattore Berlusconi) come un macigno sulla strada della governabilità.
Ci è stato spiegato che le differenze tra i due schieramenti in competizione non erano di natura politica ma antropologica, essendo il centro-destra gravato dal peso insopportabile, per qualunque alleato che fosse un sincero democratico, di Berlusconi con i suoi conflitti di interesse e i suoi processi.
Oggi pare che l’inevitabile uscita di scena di Berlusconi, a prescindere dal ruolo di guida suprema che i suoi gli riconosceranno, possa togliere agli estremisti dell’uno e dell’altro fronte un argomento polemico, grazie al quale il bipolarismo è stato inteso come guerra perpetua. Se il Cavaliere risolvesse spontaneamente il caso Berlusconi, evitando, attraverso le dimissioni, risse infinite sulla questione della decadenza da senatore, non solo il governo, ma l’intero sistema paese potrebbe respirare. Sarebbe questo un atto di saggezza politica che, tra l’altro, servirebbe a fare nascere nel migliore dei modi il nuovo partito che l’ex Premier dice di volere costruire. Si potrebbe passare finalmente da un bipolarismo muscolare a un bipolarismo normale, con buona pace di quelli che Letta ha definito parlando al Meeting di Rimini “i professionisti del conflitto”. Si potrebbe finalmente pervenire ad un sistema parlamentare ben ordinato, nel quale coincidano durata della legislatura e durata dei governi.
C’è un’esigenza assolutamente prioritaria; fare le riforme che sono nel programma del governo lavorando lealmente, evitando insulti ed imboscate che finiscono con l’avvelenare il clima politico. Quello che si auspica è un compromesso di alto profilo, proprio il contrario dell’inciucio, cioè un compromesso culturale che agevoli l’azione del governo.
In un clima rasserenato i due maggiori partiti potrebbero porre mano anche a quelle autoriforme che riguardano la loro identità e la loro forma organizzativa. Un sereno prosieguo della legislatura potrebbe consentire al Pd di liberarsi dall’ossessione di dover portare al governo tutta la sinistra – e c’è da capire se sono tra loro compatibili tutte le sinistre oggi in campo – pur di scongiurare la vittoria del centro-destra presentato come una minaccia per la democrazia.
È importante per tutti che vi sia un grande partito riformista dalla sicura vocazione maggioritaria. La tregua politica, a sua volta, potrebbe consentire al Pdl di liberarsi dall’ossessione di dover raccogliere i voti dei moderati attraverso anacronistiche crociate anticomuniste e di diventare un normale partito conservatore europeo.
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