Come ad ogni Natale e ad ogni Pasqua si rinnova il connubio fra senso religioso e gusto, strettissimo in tutta la tradizione italiana e segnatamente siciliana.
Vi è una sorta di “dolcezza sacra” che ha accompagnato nei secoli i riti cristiani. Basti pensare alla profonda simbologia dell’uovo pasquale, con il suo rimando all’origine della vita e all’Infinito, o alla colomba.
Sul tema, la Fondazione “Cavalier Francesco Condorelli” ha organizzato un convegno, che sarà ospitato venerdì 23 mattina presso il Museo Diocesano di Catania: “L’arte pasticcera. La tradizione dei dolci siciliani: quale potenziale per lo sviluppo dell’economia regionale“.
Ne abbiamo parlato con Giuseppe Condorelli, presidente della Fondazione “Cavalier Francesco Condorelli”, nonché amministratore della Idb Belpasso, la casa nota nel mondo per i torroncini.
– C’è davvero un dolce per ogni festa in Italia…
«La tradizione culinaria, pasticcera e dolciaria del nostro Paese è davvero sterminata. Abbiamo, stratificati nel corso dei secoli, centinaia di diverse prelibatezze regionali e locali nate per rendere omaggio ad un santo particolare o a un determinato momento liturgico. In Sicilia, poi, l’arte di coniugare la solennità religiosa con un dolce particolare ha toccato l’apice. Abbiamo i dolci per l’attesa della festività, abbiamo i dolci per i giorni dell’evento, abbiamo una fusione completa fra gusto e senso religioso. Francamente non so se fuori dall’Italia questo sia riscontrabile. Di certo non lo è nelle dimensioni presenti nella nostra Isola».
– Dolci dell’attesa? Un esempio?
«Il classico “quaresimale” di pistacchio, pensato espressamente per rendere omaggio ai giorni della Quaresima appunto. Un periodo liturgico che prevede per i fedeli il non mangiare carne. Nel quaresimale ho sempre rinvenuto qualcosa di particolarmente vicino al sentire religioso diffuso. A partire, è ovvio, dal nome stesso».
– Ma la tradizione dolciaria può anche essere occasione di sviluppo economico per la Sicilia?
«Certamente sì. Se nella nostra Isola vi è una eccellenza davvero marcata questa è nell’arte culinaria e soprattutto dolciaria. Tornare a casa con un “souvenir” da gustare nelle settimane successive il viaggio è un “must” per il turista, sia italiano che straniero. Vi è poi l’export usuale, che a Natale e Pasqua ha delle impennate notevoli. Insomma, di certo l’arte pasticcera contribuisce a mantenere nel mondo una precisa immagine della Sicilia. Una Sicilia laboriosa che produce microchip e memorie flash, ma anche prodotti dolciari di livello utilissimi per la “pace dell’anima” di chi li mangia».
– In tempi di crisi, dunque, ci salveranno i dolci?
«Questo non credo sia realisticamente possibile. Non può certo venire dall’industria e dall’artigianato dei dolci l’input unico per invertire la tendenza recessiva che viviamo da tempo». «Ma, come dicevo – continua – questa specifica eccellenza può contribuire a tenere alta nel mondo la bandiera dell’eccellenza complessiva del Made in Sicily. L’unica vera àncora di salvezza per noi in una economia globalizzata che livella pesantemente verso il basso la qualità di un po’ tutto ciò che si produce e si vende. In questo panorama la nostra grande chance è continuare ad essere i primi nel fare quello che tradizionalmente sappiamo fare meglio. A cominciare dai dolci».
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