Tra lavoro ai giovani e trapasso di Letta da Bergoglio a Befera.
O le larghe intese o il caos.
Sono ormai le “cartuccelle” che si rincorrono nel cielo della politica: i suonatori continuano a provare il motivetto, sempre lo stesso, con un divertito scambio di strumenti: solo Napolitano non lascia la tromba eroica dell’Italia “grande nazione” e la profezia e la minaccia son qui ritmate su Fratelli d’Italia. Dubito che abbia mai intonato “Bella ciao” e di “Bandiera rossa” ha scordato da tempo, consule Berlusconi, non solo le parole ma persino la cadenza.
Quanto ad Alfano e Letta, l’unico tratto che li accomuna è, nello spirito “pacificatore” di Napolitano, il portare a riva un ceto politico indecente, essendo la “governabilità” il valore supremo di un Paese unito e forte, esempio di vigore e di unità. Non vale commentare la lezioncina di un Letta “autorevole” al Parlamento, e soprattutto al Pd in malcerto conclave: e non è il caso di offrir solidarietà alla “povera” Bonino che prova a deodorare le feci dell’affare kazako (e trova che non ci sono ancora prodotti efficaci).
Vogliamo dire la nostra su due punti, come al solito, oggetto di proposta-annuncio: il lavoro ai giovani, che è il cuore del fare, e lo spedito trapasso di Letta da Bergoglio a Befera.
Pur considerandolo la riverniciatura di un vecchio schema (alleggerimento fiscale per le imprese che assumono “giovani”), auguro successo a quello che l’ultimo autore, uno statistico particolarmente (in) competente in materie di lavoro e di occupazione, ripropone con almeno due tratti che meritano attenzione: la definizione della categoria di “giovane” (già tristo appellativo del canto corale dei fascisti), e soprattutto il trattamento economico “austero” che anticipa il mirabile modello Expo «da estendere ai rapporti di lavoro dell’Italia nuovissima, dalle larghe intese».
Vuol essere il controcanto sapiente allo sperimentalismo doctrinaire della Fornero e l’avvio dello smontaggio dello statalismo della sinistra che faceva venire l’orticaria a Berlusconi, ed ora la varicella a Letta (che ha, per timore del fuoco di Sant’Antonio, generose riserve di farmaci antidolore): e non vorrei fosse l’ennesima beffa, il totale spegnimento del lume che mesi fa Monti con le lenti del solito Napolitano credeva di vedere «in fondo al tunnel della crisi», e che comunque e prima e dopo nessuno ha visto. Miglior fortuna ebbe più di un secolo fa Giovanni Verga fotografo con gli ectoplasmi, alternativi agli “spiriti” dell’amico Capuana.
Eppure dal Brasile il Papa consegna ai suoi giovani l’esortazione a «scendere in piazza», mentre Letta chiama i greci ad alleanza per un «autunno di riconciliazione»: egli e Berlusconi “conciliano”, Bergoglio vuole il cambiamento per un mondo giusto. E Quagliarello sapiente annota il mutar delle parole.
Ma veniamo a Letta in visita di ringraziamento all’Agenzia delle entrate (ed ai placebo geniali di Fassina). Oggetto la lotta agli evasori, in particolare a quelli totali, e – come spiegherà in sede più solenne Letta medesimo – ai paradisi fiscali, destinati a morte sicura. A parte queste pronunce apodittiche che accrescono il prestigio altissimo della intellighentia nazional-popolare, troviamo singolare l’assenza di ogni attenzione e giudizio per i contribuenti in stato confusionale e per le vessazioni “astute” nel complice legame tra accertamento ed esazione nel nome di un’attesa premiale per gli uni e gli altri.
Chi come molti, pensionati, si è visto chieder la documentazione preliminare alla vendita della casa ove sta dal ’62 per la presunta assenza nel documento fiscale di 5 anni prima, del Cud cioè dell’elenco delle somme che l’amministrazione aveva già incassato in anticipo: una stortura gratuita, un trucco che aveva contribuito di portare il cumulo annuo dell’evasione scoperta sopra la soglia del premio agli accertatori, e che consente all’esattore anche dopo l’accertato errore di tenersi, dovendo rinunciare al capitale, gli interessi!
State pur certi, e il solenne ringraziamento al “rischio” che corrono gli accertatori coraggiosi (ma non è la Guardia di finanza che “rischia”?) o la geniale sortita dell’evasione per convenienza vengono da soggetti privilegiati, né solo per la rendita monetaria dell’ufficio politico di cui sono titolari ma anche per la scontata protezione che quell’ufficio assicura in materia di redditi personali o di impresa.
E non v’ha dubbio che loro, gli eroi della politica, possono, in nome della “governabilità” (a quel che si apprende, un valore superiore alla Realpolitik, che alcuni pur rimproverano al presidente della Repubblica), tener lontane responsabilità come quelle che una magistratura di sinistra contesta al liberale e liberista Berlusconi, o possono chiedere e ottenere in urgenza una quota dei rimborsi elettorali ai partiti in attesa che i clienti e i portaborse a lista ottengano la equiparazione ai licenziati in o senza deroga. E per questa via si sostituisce il valore del fare alla rincorsa degli annunci (e dei connessi rinvii).
A quando la ripresa?
Il solo a crederci è l’affabile ministro del Tesoro. Non trovate ridicolo, e, peggio, offensivo per il comune buon senso, l’assicurazione che è dei tempi del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) che dagli evasori sarebbe venuta la rapida diminuzione del debito-monstre dell’Italia?
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