Contro l’attuale sistema delle gare per servizi di progettazione.
La scorsa mattina, mentre ero in auto per recarmi ad Agrigento, ascoltavo alla radio la trasmissione “Pagina 3”, programma radiofonico su radio RAI 3, condotto da Edoardo Camurri il quale commenta le terze pagine dei quotidiani italiani tradizionalmente dedicate alla cultura.
Quella mattina il Camurri commentava un post del blog di Daniela Ranieri, pubblicato su Blog.Panorama.it ed intitolato “I tormenti di chi arriva in anticipo: proposta contro i ritardatari (a parte Kafka)”, dove l’autrice inveisce, in maniera nevrotica e maniacale, contro i ritardatari.
L’inveire contro la categoria dei ritardatari mi ha interessato essendo io, per natura, un “puntuale cronico” che, masochisticamente, preferisce arrivare in anticipo agli appuntamenti nella consapevolezza di dovere aspettare il mio interlocutore il quale, in pieno spirito meridionale, mi ha dato un appuntamento con la ormai tipica frase: “ci vediamo verso le…”.
E’ quel “verso” che ti frega perché racchiude un arco temporale molto variabile che lascia immediatamente intendere che non ci si incontrerà mai all’ora prestabilita.
Pur tuttavia continuo ad essere un fedele sostenitore del motto: “Piova, nevichi o stia male sarò puntuale”.
Della lettura dell’articolo della Ranieri mi ha colpito in particolare un passaggio che riporto fedelmente di seguito: “… Una soluzione che mi è stata suggerita: prova ad arrivare in ritardo. Illusi. Cosa farei nel frattempo? Si tratta pur sempre di aspettare, nello specifico che scatti l’ora di un appuntamento, per poi oltrepassarla e presentarsi in ritardo. Ma con quanto ritardo? Mettiamo il caso di un incontro con un ritardatario cronico: è come la tartaruga con Achille…”.
L’autrice utilizza il secondo paradosso di Zenone in cui la buona tartaruga batte in volata il pelide Achille. Ma nell’articolo della Ranieri Achille, piè veloce, rincorre la tartaruga non per superarla ma, addirittura, per arrivare dopo. Paradosso nel paradosso.
Questa considerazione ha generato in me un volo pindarico facendomi ritornare indietro nel tempo e precisamente all’ormai lontano 1994, al termine della mia sessione di laurea, quando dopo un periodo lavorativo, a titolo volontario, in Tanzania seguì una breve pausa di relax a Zanzibar, meravigliosa isola nell’oceano indiano di fronte le coste dell’Africa.
In particolare mi tornò in mente la mia giornata, finita con un’insolazione che ricorderò per tutta la mia vita, a Prison Island la piccola isoletta famosa per la sua colonia di tartarughe centenarie che la dominano indisturbatamente, fregandosene altamente dei turisti che le inseguono (me compreso) per immortalarsi in groppa a questi giganteschi e coriacei animali.
Fu forse proprio quel giorno del lontano 1994 che nacque la mia passione per le testuggini. Da allora non ho fatto altro che osservarle, scrutarne i comportamenti e soprattutto collezionarle, non vive perché non amo gli animali in appartamento. Ho tartarughe di ogni forma e materia: in vetro di murano, in terraglia, in pietra lavica, in osso, in gomma (uscita da un uovo Kinder), di carta, di legno etc. Per lo più sono souvenir dei miei viaggi.
Da alcune mie letture ho notato come questo animale, che da un punto di vista anatomico non ha mai scisso i legami con i suoi antenati preistorici, attraverso il simbolismo del Cerchio e del Quadrato, costituisce non solo un perfetto tramite tra la tradizione esoterica estremo-orientale e quella ermetico-alchemica occidentale ma, intrecciandosi ulteriormente con l’iconografia cristiana, con il simbolismo del Graal e con quello Templare (da cui tra l’altro deriva quello Massonico), ci indirizza alla scoperta di un mondo nascosto di analogie e correlazioni che legano matematica e arte, geometria e biologia, musica e architettura in una inscindibile unità.
E’ osservando la tartaruga nelle sue espressioni facciali che ci sembra di vedere quanto essa sia consapevole di questo fardello di conoscenze millenarie che si porta addosso.
Della tartaruga la cosa che mi ha sempre affascinato è la lentezza dei suoi movimenti e l’espressione flemmatica con cui li compie, la sua quasi coscienza che ha nell’affrontare i duri percorsi della vita. Ad ogni movimento Sembra quasi che dica: “Arriverò, prima o poi arriverò, ma arriverò”.
Quando osservi una tartaruga ti rendi conto che il paradosso di Zenone alla fine non è un paradosso; Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga perché le vie intraprese dai due sono diametralmente opposte.
La tartaruga è flemmatica, riflessiva, quasi calcolatrice e, soprattutto, porta con sé tutto il suo bagaglio d’esperienza che l’ha resa forte e coriacea nella sua vita centenaria e che non le consente di indugiare nel percorso. Ogni passo è soppesato ma finalizzato ad andare dritta alla meta.
Achille è irruento, istintivo, troppo veloce, poco riflessivo. Achille è così preso della sua tracotanza che nell’arrivare sul campo di battaglia, in una forma mista di narcisismo e senso d’invincibilità, dimentica di coprire il suo tallone rendendosi vulnerabile alla freccia di Paride.
Da sempre questo parallelo tra i due esseri mi ha indotto ha numerose riflessioni sulla vita che oggi conduciamo e sul fatto che ci sentiamo un pò tutti Achille dimenticando la grande strategia della Tartaruga: “LENTI ALLA META”.
Ovviamente, per deformazione professionale, non ho potuto fare a meno di ribaltare tale ragionamento sulla professione dell’architetto che l’attuale legislazione ha cercato di “ACHILLIZZARE” imponendo il ribasso sui tempi di progetto quale elemento cardine di valutazione per l’affidamento di un servizio di progettazione (oltre ad altre imbecillità varie).
Un ribasso sul tempo di progetto, è inutile dirlo, è a discapito della qualità architettonica dell’opera progettata.
Un opera progettata seguendo la scansione di tempi ridotti è inevitabilmente una cattiva opera che mostrerebbe le sue falle durante l’esecuzione del cantiere.
Imporre ridotti tempi di progettazione è fare il gioco delle imprese realizzatrici che oggi si appellano all’errore di progetto (inevitabile) per non fare i lavori e chiedere una rescissione di contratto indennizzata a causa di un mancato guadagno o addirittura per fare lievitare i costi di realizzazione attraverso le varianti (anch’esse inevitabili) che si renderebbero necessarie per l’ottimizzazione del progetto stesso.
Ed è questo uno dei tanti motivi per cui gli ordini professionali devono invocare con urgenza una riforma al sistema delle gare per servizi di progettazione.
Bisogna che gli architetti tornino in possesso dei tempi di progetto a garanzia della qualità dell’opera e dei costi di realizzazione.
Magari con più qualità del costruito nelle nostre città, nelle nostre periferie, nelle nostre campagne potremo attardarci agli appuntamenti, perché rapiti dall’osservazione di quanto ben realizzato intorno a noi, ed essere comunque giustificati.