«”Pizzo” sulle liste d’attesa imposto dai camici bianchi».
«Sprechi e inefficienze» che costano «decine di milioni di euro ai pazienti siciliani». Ma anche «forti pressioni della mafia» nella gestione di alcuni servizi. E ipotesi di truffe – «con la responsabilità di primari e la distratta omissione di commissari e direttori generali» – nella gestione delle liste d’attesa dei Centri unici di prenotazione.
Infine, «enormi buchi neri nei fondi Ue assegnati per le piattaforme elettroniche dei medici di base e del 118», con quest’ultimo settore ai raggi X anche per un presunto «caporalato nella gestione del personale». Per dirla in poche parole – quelle di Pippo Digiacomo, presidente della commissione Sanità all’Ars – la situazione è questa: «Il cosiddetto “sistema Ciapi” è una roba da bambini rispetto alla speculazione affaristico-criminale sulla salute dei cittadini siciliani».
Presidente Digiacomo, lei venerdì in conferenza stampa ha parlato di «mascalzoni nella sanità siciliana». Un’affermazione piuttosto pesante…
«Sì, ho usato quel termine. Ma ho anche detto che si tratta di una minoranza rispetto a tantissimi medici e operatori sanitari che fanno il proprio dovere con grande professionalità e spirito di sacrificio».
Eppure le mele marce ci sono, avete anche citato alcuni episodi recenti: due primari, a Cefalù e a Ragusa, denunciati dalle rispettive Asp. Soltanto casi isolati?
«No, per nulla. Sono la punta dell’iceberg di un sistema malato e corrotto, in cui le lunghissime liste d’attesa per i cittadini non sono soltanto un sintomo di malasanità dovuta a problemi di organizzazione e pianificazione, ma si tratta di un “pizzo” imposto dai camici bianchi. Il sistema dell’attribuzione dei posti-letto è truccato da molti primari con questo slogan: “Prima passi nel mio ambulatorio e poi ti opero”. Un uso spregevole del proprio potere per l’arricchimento personale».
Ma gli ospedali non hanno una procedura informatizzata? Come funziona questo sistema?
«Semplice: truccando i centri unici di prenotazione con dei nomi-civetta. Gli amici dei primari interessati intasano le prenotazioni con dei pazienti falsi, ovviamente con nomi “in codice” facilmente riconoscibili dai diretti interessati. Poi, invece, quando un cittadino normale chiede una prenotazione autentica qualcuno gli sussurra di passare prima dall’ambulatorio privato del medico in questione. E così, dopo aver versato l’obolo di duecento, trecento o quattrocento euro per la visita in studio, come per magia quel cittadino ottiene un posto in prima fila per l’intervento nella struttura pubblica, andando a sostituire il paziente virtuale che nel frattempo cancella la propria prenotazione».
Sono episodi di vita vissuta che si ascoltano, ma sentirli dal presidente della commissione Sanità all’Ars fa un certo effetto. È chiaro che tutto ciò non può succedere soltanto per opera di alcuni primari…
«È chiaro che a monte c’è un sistema di copertura, e talvolta di connivenze, ai massimi livelli dirigenziali. Perché il deputato Digiacomo, di formazione umanista ma che si è studiato un po’ di carte, è venuto a capo di questa situazione e i direttori generali no? Ce le hanno sotto gli occhi queste cose. Non ci vuole Maigret e nemmeno Montalbano: c’è una lista di nomi nelle prenotazioni? Fai dei controlli, fai delle telefonate a campione per verificare se dietro ogni nome c’è davvero un paziente che aspetta. Non si può giocare con la debolezza dei cittadini, che con i problemi di salute diventano fragili e vulnerabili. Se c’è chi, per paura, se ne va dal mago o dalla fattucchiera, figuriamoci in quanti sono disposti a pagare il “pizzo” di centinaia di euro per una visita nello studio privato».
Ma da chi sono gestite le liste d’attesa in Sicilia?
«Ecco, questa domanda apre un altro capitolo con uno scenario altrettanto inquietante. L’assessorato regionale alla Sanità ha affidato una commessa a Sicilia E-Servizi, una partecipata della Regione nata a cavallo fra i governi Cuffaro e Lombardo. Questa società gestisce circa 30 milioni di euro di fondi comunitari: 7 milioni per il Cup (Centro unico prenotazione, ndr), 10 per la piattaforma elettronica dei medici di base, 12 per la piattaforma del 118, il resto per altri servizi di informatizzazione tra cui quello delle cartelle informatiche. Ebbene, in assessorato non c’è alcuna traccia su come siano stati spesi questi soldi. Chiameremo Sicilia E-Servizi a riferire in commissione, per rendicontarci se e come questi soldi sono stati spesi e per dimostrarci che non risponde al vero che dietro ci sia un sistema di scatole cinesi tutte vuote. Che fine hanno fatto le piattaforme informatiche ordinate all’epoca dell’assessore Russo? C’è una corrispondenza fra fondi ricevuti e servizi erogati? ».
Un altro capitolo riguarda il 118 e la Seus, nella cui gestione lei ha denunciato «fenomeni di caporalato nel personale». La società ha precisato che a loro non risulta nulla e che comunque vigileranno. Lei che farà?
«Io ho chiesto l’istituzione di una sottocommissione d’inchiesta all’Ars sulla gestione del 118 e del trasporto degli emodializzati. Il 118 costa alla Regione circa 130 milioni l’anno, di cui 100 vanno alla Seus, nella quale sono transitati quasi tremila dipendenti, la stragrande maggioranza dei quali con la qualifica di “autisti-soccorritori”. Ora, al di là del fatto che una società che gestisce tutti questi soldi pubblici deve dare conto di come li utilizza in termini di rapporto costi-produttività, ci sono arrivate numerose segnalazioni sulla gestione del personale, nelle mani di pochissime e potentissime persone, che fanno il bello e il cattivo tempo».
In che senso?
«Nel senso che se tu sei un soccorritore che, diciamo così, mi fa simpatia ti tolgo dalla strada e ti imbosco in un ufficio a non fare quasi nulla. Ma se mi sei antipatico ti massacro, professionalmente e umanamente, andando ben oltre i limiti del consentito».
Accennava al trasporto degli emodializzati. Si riferisce al caso sollevato da un paziente ennese?
«Sì, ma anche questa è la punta dell’iceberg. Alcune associazioni di Nicosia hanno segnalato che un paziente del loro paese viene trasportato da un’azienda con sede a Racalmuto, nell’Agrigentino, con un notevole aggravio di costi per l’Asp di riferimento. Anche qui il problema è ben più diffuso e delicato. Normalmente il servizio di trasporto di emodializzati viene fornito da onlus accreditate presso la Regione, le quali, per l’essenza stessa del loro status giuridico, lo svolgono a prezzi calmierati, in media circa 40 euro a tratta. Ebbene, ci risultano in tutta la Sicilia pesanti pressioni ai direttori generali delle Asp, anche da parte di soggetti più o meno vicini alla criminalità, per far sì che questo servizio venga affidato a soggetti diversi, amici degli amici, con un prezziario molto più “elastico” per eccesso».
E le procedure per risparmiare sull’acquisto di forniture? Ci sono passi avanti?
«No, anche questa è una giungla: ci sono reagenti chimici che in alcuni ospedali costano 50 centesimi a dose e in altri 2,50 euro. E parliamo di milioni di dosi… Ma il discorso va esteso a tutti i servizi: nessuno sa quanto ci costa la pulizia delle corsie, che è un settore fuori controllo così come tanti altri capitoli degli 8,5 miliardi che la Sicilia spende ogni anno nella sanità, senza un briciolo di organizzazione e programmazione. Non siamo riusciti a monitorare il sistema degli appalti e io ritengo che ci siano decine di milioni di perdite senza il minimo riscontro sulla qualità dei servizi. In un’epoca in cui riduciamo sempre di più i servizi per i cittadini, con tagli e riduzioni varie, io ritengo che un 30 per cento di costi complessivi, in Sicilia, andrebbe recuperato se si stanassero sprechi e ruberie».
Ovviamente è consapevole della gravità delle sue denunce. Ma l’assessore Lucia Borsellino è a conoscenza di questi fatti? E la magistratura?
«Ognuno è stato tempestivamente e adeguatamente informato per i fatti di sua competenza. L’assessore Borsellino sta svolgendo un lavoro positivo in termini di miglioramento di alcuni importanti indicatori qualitativi, come su posti-letto, ricoveri e parti cesarei, ma adesso è il momento di passare alla “fase 2”. Ci vuole il coraggio di affondare il coltello fino in fondo, senza la pretesa essere supereroi. Ma con la consapevolezza di fare il nostro dovere, ciò che la gente si aspetta da noi. Questa, per me, è la vera rivoluzione».
Fin qui si è parlato di sanità pubblica. Ma cosa succede nel settore privato?
«Quanto spazio dedicherete a questa intervista? ».
Quasi una pagina, presumibilmente. Ma perché questa domanda?
«Perché allora è meglio fermarci qui. Quando avremo finito di acquisire il dossier sulle disfunzioni del settore sanitario privato in Sicilia, e ciò succederà molto presto, una sola pagina non vi basterà… ».
Ci fidiamo sulla parola.
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