In carcere quasi tutti i vecchi boss mafiosi siciliani, sarebbe ormai il latitante castelvetranese Matteo Messina Denaro il nuovo numero 1 di Cosa Nostra.
«Oggi può essere considerato il capo assoluto» ha, infatti, affermato il pm della Dda Marzia Sabella nel corso della requisitoria tenuta al Tribunale di Marsala (presidente Sergio Gulotta, giudici a latere Quittino e Riggio) nel processo scaturito dall’operazione «Golem 2» (del 15 marzo 2010).
«Questo processo – ha detto Sabella – riguarda la mafia storica e ricca, lo zoccolo duro. Quando Cosa Nostra palermitana chiede a quella trapanese cosa fare per risolvere le controversie interne lo chiede a Messina Denaro, come quando nel mandamento del capoluogo dell’isola si cercava un nuovo capo che potesse sostituire Riina. In quell’occasione l’intervento di Messina Denaro fu risolutivo. A chi gli aveva chiesto un parere lui inviò un pizzino con il quale diceva di “non conoscere nessuno”».
A quel punto il progetto si bloccò. E sempre dai pizzini viene fuori che un parere gli fu chiesto anche quando doveva essere scelto il nuovo capo della famiglia mafiosa palermitana di San Lorenzo. Ruolo che dopo l’arresto dei Lo Piccolo sarebbe stato rilevato da Giuseppe Biondino, figlio di Girolamo. Il vuoto di potere creatosi a Palermo avrebbe automaticamente favorito la sua ascesa. E per il nuovo “numero 1” sono stati invocati 30 anni di carcere.
«Il massimo della pena» ha sottolineato l’altro pm del processo, Paolo Guido, al quale è toccato formalizzare le richieste. Alla sbarra, oltre al 51enne boss di Castelvetrano, tra “affiliati” alla mafia, anche con ruoli di spicco, presunti favoreggiatori e autori di delitti commissionati dalla mafia (attentati incendiari etc.) ci sono altre 12 persone. Per tutti gli imputati è stata chiesta la condanna. In totale 202 anni di carcere.
Questo il dettaglio: 25 anni per Giovanni Risalvato, 21 anni per Giovanni Filardo, cugino del boss e per Tonino Catania, 20 anni per Lorenzo Catalanotto, 18 anni per Leonardo Ippolito, nella cui officina meccanica si incontravano mafiosi, 16 anni per Vincenzo Panicola, cognato di Messina Denaro e per Maurizio Arimondi e 14 anni per Calogero Cangemi.
Quattro imputati non sono accusati di associazione mafiosa ma di «reati fine» dell’organizzazione. Sei anni e mezzo sono stati chiesti per Nicolò Nicolosi, 6 per Marco Manzo (incendio casa estiva del consigliere comunale Pasquale Calamia), 5 anni e mezzo per Filippo Sammartano (già condannato per mafia), 4 anni e 2 mesi per Giovanni Stallone.
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