È possibile per noi siciliani pensare in positivo? Avere delle speranze?
Che ci sia la volontà di cambiare, questo, sì, però mancano i riferimenti cui dare fiducia. Da qui l’astensionismo ai ballottaggi amministrativi, da qui la rabbia, o, per contrasto, l’abulia della gente. La nostra vita, purtroppo, è stata sempre condizionata da chi ha ridotto negli anni la nostra terra in uno stato di subalternità. Eppure la maggioranza dei giovani di oggi, ad esempio, già in età scolastica, non è priva di quel senso comune di società.
Non è questione di appartenere a questa o quell’altra ideologia, sempre se questa abbia ancora un significato, ma di capire che il presente e il futuro dipendono solo da noi. Esistono degli squilibri culturali e sociali, ma c’è in molti la voglia di fare. O, meglio, di essere. Di avere una identità. Indipendentemente dal fatto che la scelta risulti giusta o sbagliata. L’eventuale errore serve a imparare cos’è la vita.
Vogliamo portare come esempio Messina e le recenti elezioni amministrative. In quel voto c’è un pezzo di quella Sicilia priva di riferimenti. E si capisce perché un cittadino sceglie per sindaco un «uomo qualunque». Un anomalo, fuori dalla casta politica.
Renato Accorinti, a differenza di Grillo che ha sfruttato la sua notorietà di cabarettista per recitare il ruolo di fustigatore di costumi, è uno che nella città dello Stretto ha invece sempre protestato con gesti talvolta eclatanti, da essere preso per folle. Un pirandelliano Ciampa dalla «corda pazza», dietro la quale nasconde quella «civile». Se il suo «No al Ponte» è una scelta (anche Sergio Rizzo sul Corsera l’ha fatto notare) priva di proposta, per capirla, però, necessita di una lettura all’interno del panorama politico-amministrativo della città.
L’ultimo scandalo sulla Formazione, quello che sta coinvolgendo l’uomo forte del Pd, Francantonio Genovese e famiglia, può servire a spiegare il voto dei messinesi, in gran parte appartenenti a quella borghesia vissuta nel passato nella pax politica trasversale, dalla Dc di Gullotti al Psi di Capria, passando per il vecchio Pci di De Pasquale. Una città congelata nei suoi circoli-bene, quasi gelosa, poco aperta al futuro. Tanto da far sembrare il Ponte un futuro troppo azzardato. Le sue industrie, vedi tra le altre quella a dimensione mondiale come gli aliscafi dei Rodriquez, sono morte. Il turismo, con delle perle come Taormina, le isole Eolie e la fascinosa costa tirrenica, è appassito dopo anni di splendore. Ecco perché nascono gli Accorinti. Il sindaco scalzo che sembra voler vestire i panni della povertà come San Francesco. Anche se già vive in quel paradiso che è Taormina. Il futuro ci dirà se la scelta sia stata giusta. O se sia stata solo una via per spazzare la vecchia e logora classe dirigente. O, ancora, un’operazione gattopardesca affinché nulla cambi.
Perché abbiamo parlato di Messina in un contesto più ampio del nostro discorso, quello siciliano?
Perché, forse, è tutta l’Isola che ha bisogno per disintossicarsi, di passare attraverso questi lavacri, utili, magari, per ricominciare tutto d’accapo. Gli Accorinti a Messina e i grilliani alla Piccitto a Ragusa saranno magari di passaggio, ma hanno segnalato un allarme. Il gioco delle tre carte coperte fatto sinora dalla vecchia politica è obsoleto. Lo vediamo oggi alla Regione dove si cerca di tenere in vita questo devastante gioco. I clienti del furbo Crocetta, cioè i compagni di cordata, non riescono, però, ad accaparrarsi la posta. Cioè una poltrona o uno strapuntino.
Ai sindaci neo eletti diciamo di non cadere, anche se per loro sarà difficile, in questo gioco. Nel curare le ferite delle proprie città, cerchino di trovare assieme quelle sinergie fatte di progetti, di servizi, di socialità, di infrastrutture, di turismo. Per esplorare, in una comunione di interessi, nuovi percorsi e aprire orizzonti rimasti sino adesso oscurati da grettezze municipaliste. Si rilanci il marchio Sicilia camminando tutti insieme.
Anche Crocetta potrebbe fare la sua parte. Una scommessa da giocare. Senza, però, nessun tipo di imbroglio.
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