Di Salvo Ognibene
Dal mensile di DIECI e VENTICINQUE (vedi)
27 giugno 1980, dopo due ore di ritardo il volo IH870 alle 20:08 decolla da Bologna, destinazione Palermo. Un aereo che non giungerà mai nel capoluogo siciliano.
Uno squarcio nel cielo ed 81 innocenti che affonderanno insieme al DC9 nel mare di Ustica. Un’andata senza ritorno. Un disastro mai chiarito.
Bologna e Palermo, due città unite dal destino di quell’aereo ed una verità che ancora oggi manca.
Una storia tutta italiana questa, una storia fatta di servizi segreti di tutto il mondo, alti ufficiali, politici, morti improvvise. Un aereo “disperso” e troppi punti interrogativi, domande a cui mancano, ancora oggi, dopo trentatre anni, delle risposte.
Le prime voci nei giorni successivi al disastro parlavano del DC9 come abbattuto da un missile francese o americano. Ipotesi, solo ipotesi. E una domanda che forse in questi 33 anni non ci siamo fatti. Ci siamo chiesti come andarono le cose nei cieli di Ustica senza chiederci il perché.
Numerose indagini, decine di perizie, strani ritrovamenti, registri scomparsi, pagine dei rapporti radar strappati. I morti per la strage di Ustica sono quasi cento tra i passeggeri del DC9, i suicidi che si impiccano prima di essere sentiti dal giudice, gli incidenti stradali e aerei e le altre morti avvenute in circostanze poco chiare e misteriose. Dubbi e misteri avvolgono quella notte del 27 giugno 1980.
Di depistaggi la storia del nostro paese è piena ma su Ustica i pezzi mancanti sono tanti, troppi.
In Italia ci sono state tredici stragi, escluse quelle di mafia. In tutte non si è arrivati ai mandanti, in tutte abbiamo avuto i servizi segreti che hanno cercato di depistare.
Una sola volta, per via giudiziaria, si è avuta la condanna dei mandanti: nel caso della strage di Bologna. Ma anche lì la verità è un miraggio.
L’Italia è un paese con la fobia della verità ma Ustica, forse, rappresenta un quadro fuori posto nella stanza dei misteri.
“L’incidente è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente un atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto” scrive nell’ordinanza-sentenza il giudice istruttore Rosario Priore.
Uno scenario militare che è stato sempre negato da tutti, nonostante il documento Nato del ’97 abbia certificato che quella sera in volo c’erano 21 aerei militari, di cui 5 sconosciuti, e gli altri americani e inglesi. La Nato parla anche di “tracce radar” di una portaerei nel Mediterraneo.
Nelle scorse settimane un ex pilota Alitalia (all’epoca Ati) aveva raccontato ai magistrati di aver visto “Una flottiglia di navi con una portaerei e almeno altre tre-quattro navi”, tutto confermato poi anche da un ex hostess Itavia “vedemmo quella nave circondata da altre, il giorno prima della sciagura”.
La Saratoga a stelle e strisce, secondo il Pentagono, è rimasta ormeggiata a Napoli ed anche i
francesi, hanno sempre negato che le loro portaerei fossero nella zona dove si è inabissato l’I-Tigi. In entrambi i casi però ci sono delle stranezza nei diari di bordo inerenti alla data del 21 giugno 1980.
Sulla vergogna di Stato che è Ustica, la magistratura italiana, ha prodotto enormi sforzi: 4.000 testimoni, diverse rogatorie (che hanno evidenziato una mancata collaborazione internazionale) e quasi trecento udienze processuali.
L’unica tesi accertata, tra quelle sulle quali hanno indagato gli inquirenti, è che il DC-9 è stato abbattuto da un missile sparato da un aereo militare.
La prima verità su Ustica dopo il niente di fatto dei processi penali è stata decretata dalla Cassazione lo scorso gennaio: è “abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile”.
Lo Stato ha anche condannato se stesso a risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. Con buona pace di Giovanardi e dei sostenitori della teoria della bomba a bordo del DC9. Ma se si è arrivati ad una prima verità è innegabile che i buchi da riempire sono ancora tanto grandi quanto lo è il mare che circonda l’isola di Ustica. I Ministeri della Difesa e dei Trasporti sono stati condannati perché “non garantirono la sicurezza del volo e depistarono l’accertamento dei fatti“, si macchiarono di “omissioni e negligenze”.
La presenza di altri aerei nei cieli quella sera è data per certa, quanti e quali impossibile saperlo.
Alle 20:58 prima che sparisse il segnale, in una conversazione tra due operatori radar a Marsala si sente: “… Sta’ a vedere che quello mette la freccia e sorpassa!”
Nel 1988 durante la trasmissione televisiva “Telefono giallo”, un anonimo chiama in diretta e si qualifica come aviere in servizio al radar di Marsala. L’uomo afferma di aver esaminato le tracce radar e che “ci avevano ordinato di stare zitti”. Paolo Borsellino, aprirà un’inchiesta e durante gli interrogatori, tutti i militari in servizio a Marsala la sera del disastro, eccetto uno, riferiscono di non aver visto al radar ciò che avvenne nei cieli di Ustica.
Il muro di gomma si rompe con le dichiarazioni del maresciallo Luciano Carico: “mi soffermai su due aerei che scendevano perpendicolarmente verso Punta Raisi, ad un certo punto uno dei due venne a mancare”.
Il DC9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di una guerra aerea, da un missile.
Questa è l’unica verità. Forse un giorno sapremo se quel missile era americano, francese o addirittura italiano.
Cos’è successo realmente? Comporre questo puzzle è difficile: il Presidente del Consiglio dell’epoca, Cossiga, nel 2007 (dopo 27 anni! ) sostenne la tesi del “missile francese” destinato ad abbattere l’aereo su cui si sarebbe trovato Gheddafi che “si salvò perchè il Sismi, appresa l’informazione, lo informò quando lui era appena decollato e decise di tornare indietro”. Misteri su misteri ed il Mig libico ritrovato in Calabria il 18 luglio successivo non fa altro che aumentare i sospetti, oltre alle innumerevoli incongruenze registrate nella vicenda dopo il ritrovamento.
L’autopsia sul corpo dell’aviatore rileverà che si trattava di un cadavere in stato di decomposizione avanzato da circa venti giorni, tanti quanti ne erano passati dal disastro aereo.
Il medico cambierà improvvisamente idea e l’inchiesta sull’aereo ritrovato verrà chiusa in fretta e in furia circa dieci giorni dopo il ritrovamento.
Il 2 luglio 1980 il Consolato libico a Palermo pubblica un particolare necrologio e gli interventi e le dichiarazioni di Gheddafi si susseguiranno sostenendo che gli Usa, nel tentativo di abbattere il suo aereo, avrebbero preso un tragico abbaglio colpendo l’aereo italiano e uno libico.
Perché le operazioni di recupero iniziarono con 7 anni di ritardo?
La ditta francese, Ifremer, che concluderà le operazioni di recupero dopo un anno, verrà accusata di essere legata ai servizi segreti d’Oltralpe. Tra i vari resti verranno trovati anche cose che non appartenevano al DC9, 2 salvagenti ed una sonda metereologica.
Un serbatoio supplementare di un aereo militare venne trovato, nel 1992, durante la seconda operazione di recupero (5 anni dopo la prima) da parte di una ditta inglese.
Perché la sera del disastro a tutti gli aerei militari che si muovevano nello spazio percorso dal DC9, fu impartito l’ordine di spegnere il transponder che avrebbe consentito la loro identificazione?
Perché sostenere con forza (soprattutto da parte dell’Aeronautica militare) l’illogica ipotesi alternativa della presenza di una bomba a bordo?
Queste e tante altre domande ancora oggi aspettano risposta, a trentatré anni di distanza.
Ad oggi ci resta solo una piccola verità, il dolore e il ricordo. Non solo il 27 giugno di ogni anno, ma ogni giorno: un ricordo tangibile, che, per chi, come me, nel 1980 non esisteva, è possibile vivere e affrontare nella città in cui DIECI e VENTICINQUE è nato, Bologna, grazie al Museo per la memoria di Ustica, allestito nel 2007. Un museo che consente a chiunque di mantenere vivo il ricordo, e trasformarlo in impegno: per un paese più giusto, senza più segreti .
Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto “L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti”, un libro sui rapporti tra mafia e Chiesa che ha raccolto la testimonianza di diversi religiosi. www.eucaristiamafiosa.it