Mario Draghi fa capire che in Europa per ora non ci sarà nessuna ripresa; i consumi (anche alimentari) sono in caduta libera; il Fondo monetario ammette di aver sbagliato i conti in Grecia sottovalutando l’impatto recessivo delle misure di austerità imposte ad Atene. E tutto ciò per seguire la linea finanziaria di Berlino.
C’è da chiedersi, in questo scenario drammatico, che senso abbia l’accelerazione sulle riforme voluta da Enrico Letta.
Il sospetto di una parte del Pd, che comincia sempre più a riconoscere in Matteo Renzi il suo leader, è che il mantello delle riforme «strutturali» serva a coprire l’assenza di munizioni sull’altro fronte, quello della crisi economica. In vista del vertice Ue di fine mese, il governo vuole presentarsi con un biglietto da visita nuovo, un piano di revisione della forma di Stato e di governo in Italia, per provare a chiedere qualcosa di più sull’allentamento dei vincoli di bilancio, l’unica reale arma che l’Italia ha per fronteggiare la crisi economica e del lavoro.
Il sindaco di Firenze lo ha detto chiaro: quando non si vuole fare nulla, si dà vita ad una commissione di saggi. Per di più composta da personaggi così eterogenei, osserva Giovanni Sartori, da garantire in partenza l’insuccesso. Fuoco amico, come accusano i lettiani? Non proprio. In realtà sembra di assistere ad un replay dei tempi della Bicamerale dalemiana, un’epoca in cui le liti tra esperti erano all’ordine del giorno.
In questo caso si può notare che gli scontri (in particolare quello sul presidenzialismo) sono cominciati senza che esista nemmeno una bozza di grande riforma: ci si richiama un po’ genericamente alla revisione del bicameralismo perfetto e al taglio dei parlamentari ma senza entrare mai nel concreto. Ora, si sa che questa è una materia in cui il diavolo si annida nei dettagli: è stato così in passato e non si vede perché oggi debba essere diverso.
Il punto è che il cammino delle riforme deve blindare il governo. Senza che ciò significhi che si tratta di un esecutivo a tempo, come ha ribadito con nettezza Giorgio Napolitano. Pdl e Scelta civica ne garantiscono il cammino, ma il Pd è in grado di fare altrettanto? L’impressione è che la risposta dipenda dalla possibile ascesa di Renzi alla segreteria: un passaggio che potrebbe avvenire con il placet di Letta in cambio della fine della guerriglia che lo sta mettendo duramente alla prova.
Tuttavia ci sono molte incognite. Intanto la maggioranza del partito che ha espresso Epifani non è ancora convinta di sostenere il rottamatore. Inoltre l’arrivo di un uomo di rottura alla guida del Pd costituirebbe un problema anche per il Pdl: Renato Brunetta lo dice chiaramente, Renzi spaccherebbe i democratici tra ex comunisti ed ex sinistra dc e farebbe cadere automaticamente il governo.
Ma Renzi fa professione di amicizia nei confronti di Letta.
Gli chiede però di avere equilibrio e di non fare dell’equilibrismo. Che cosa significa? Semplicemente che l’ aspirante segretario ha fretta almeno quanta ne ha il premier sulle riforme: intende scalare la vetta del Pd e dunque non può accettare tatticismi sulle misure economiche e neppure sulla riforma dello Stato perché ciò significherebbe confondersi con i suoi predecessori, mestieranti della vecchia politica. Renzi vuole incarnare una rivoluzione non ideologica ma molto pragmatica in stile anglosassone.
È un piano realistico? Difficile dirlo perché Renzi costituisce sul piano generazionale una sfida perduta in partenza per il Cavaliere. Sono in molti a volergli sbarrare il passo. È un uomo che potenzialmente può pescare consensi anche nel magmatico universo grillino, caduto in piena crisi d’identità. Dopo la lite sulle diarie e sulla presenza nei talk show, nel Movimento serpeggia adesso un altro sospetto: il senatore Michele Giarrusso denuncia la presenza di «mele marce», nella fattispecie il capogruppo Vito Crimi che avrebbe disertato la seduta della Giunta delle elezioni per un calcolo politico. Quale? La formazione di una maggioranza occulta e trasversale che vorrebbe salvare Berlusconi, aggirando la discussione sulla sua presunta ineleggibilità. Accuse estreme ed anche un po’ confuse che certo non aiutano i 5 stelle.
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