Se in Italia si vivono giorni d’attesa, con un governo forte nei numeri ma debole politicamente, in Sicilia l’attesa è atavica. Qui si vive da tempo come quelli che stanno sospesi.
Nell’ingarbugliata situazione politica ed economica nazionale, la nostra terra rappresenta l’esasperazione della crisi di tutto il Paese. Il gesto disperato del muratore disoccupato di Vittoria, che, per difendere quattro mattoni di una casa precaria, si dà fuoco, è emblematico. E’ l’uomo che si ritiene orfano del suo futuro perché privato del suo misero bene. Fa notizia sui mass media nazionali, solo perché testimonia ancor più lo stato di crisi. Piuttosto il dramma vissuto da Giovanni Guarascio fa parte di una lunga storia di disagi della nostra gente.
C’è, dunque, da chiedersi verso dove va la nostra terra?
Un interrogativo che ci poniamo ripetutamente. Al quale non è mai arrivata risposta. Il nuovo governo nazionale al Sud ha riservato, purtroppo, solo una parentesi del suo programma. Davanti a un fatto concreto, vitale per l’Isola, va in onda la solita sceneggiata: non è una priorità. E non ci riferiamo solo al Ponte. Importante per il «corridoio uno» come la tav lo è per il «cinque».
Eppure la Sicilia oggi è rappresentata da tre ministri e da quattro sottosegretari. Una forza cospicua che dovrebbe essere capace, almeno sulla carta, di contribuire a cambiare il deprecabile andazzo dei precedenti governi. Enrico Letta ha tanti problemi di sopravvivenza. Non solo l’Imu, l’Iva, i cassintegrati (molti sono al Sud), il lavoro (quello vero), le riforme istituzionali, la Giustizia, ma ha anche una rissosa, per il momento solo a parole, maggioranza dove da una parte e dall’altra si mettono in atto sceneggiate dirette a tenere buono lo zoccolo duro del proprio elettorato. Nella sostanza, in verità, nessuno vuole per adesso rompere per paura di nuove elezioni e di sviluppi che si potrebbero avere dal punto di vista istituzionale. E poi c’è il rischio che la gente si rivolti contro. La fame di lavoro aumenta sempre più. Senza lavoro è difficile trovare la pace sociale. E’ allarmante in tal senso l’avviso di Draghi. Non si può militarizzare un Paese di affamati. Crescerebbero tanti «no tutto», pronti a strumentalizzare la disperazione degli onesti.
Guardando più da vicino la Sicilia, la Regione, cioè, considerata la malata di sempre, è difficile notare un effettivo cambiamento. Rosario Crocetta sembra vivere alla giornata. E’ costretto a dedicarsi più all’apparire che all’essere, perché prigioniero di una istituzione andata ormai in cancrena. Il suo lodevole tentativo di sburocratizzare la Regione, appare come una battaglia contro i mulini a vento. Se pulisce un settore, si apre la falla in un altro. La burocrazia regionale è sclerotizzata e smuoverla è una fatica di Ercole. Che non è quella di Sala d’Ercole, dove i suoi abitanti in poltrona più che alla «fatica»pensano a campare. Bene, ovviamente. Se prendiamo gli esempi dei precari, degli addetti alla formazione, dei forestali, dei presunti custodi dei siti archeologici, si capisce quanti tentacoli, molti improduttivi, soffocano la Regione. Eppure non si possono toccare. Scendono in piazza, anche a ragione perché è l’unico loro sostentamento, e minacciano di bruciare tutto.
E’ il risultato di una bassa e vecchia politica finalizzata più al posto all’amico, che alla produttività. Cosa più grave, come è accaduto nella Formazione, si sono creati persino corsi di fantasia. Con appena due iscritti. Così si va avanti, si fa per dire, alla giornata. Con degli escamotage pur di tamponare le falle esistenti, certamente non per colpa dell’attuale governatore. Che però, diciamo la verità, è spesso distratto da una campagna acquisti in grado di dargli potere e voti. Ecco perché, dicevamo all’inizio, in Sicilia si vive come quelli che stanno sospesi. Ottenere delle concessioni, come i soldi per i precari, è utile, ma esse sono solo il presente non il futuro. Manca un progetto di largo respiro.
Ad esempio, cosa ne sarà dei precari dopo il 31 dicembre? E’ un interrogativo tra i tanti. I siciliani non possono continuare a vivere con la bombola ad ossigeno. Sospesi tra la vita e la morte. Ma dato che da tempo siamo abituati, significa che la vita poi tanto nemica non è. Domenico Tempio LaSicilia
Sicilia Notizie Cronaca Attualità News Politica Economia Lavoro Enogastronomia Sport Viaggi