La risorsa famiglia solita grande assente. Riconoscerle il ruolo di soggetto primario del privato sociale.
Ancora una volta il grande assente, la famiglia! In questi giorni stiamo tutti, con stanco interesse, seguendo dibattiti politici che paiono surreali, se non addirittura irreali: chi (donchisciottescamente) vuole formare un governo di riforme senza però avere i numeri per farlo; chi (paradossalmente) è giunto al potere per non voler poi sporcarsi le mani con il potere stesso, quasi che la gestione della cosa pubblica sia in sé un male; chi (pervicacemente) insegue un governo di larghe intese (che a dire il vero sarebbe l’unica strada percorribile) ma pone poi, di fatto, inaccettabili condizioni. Se a questo aggiungiamo la nomina da parte del presidente della Repubblica dei cosiddetti saggi o facilitatori (che a detta di uno di loro sono «inutili, servono a coprire questo periodo di stallo», tanto che «andremo a votare presto»), si comprende come la nostra Italia stia attraversando un periodo tutt’altro che felice nel momento già poco felice della crisi.
Tra i fiumi di parole sentiti in questi giorni, ne manca però una, la cui assenza non è certo una novità: la famiglia. Sembra una realtà inesistente, o un malato da curare piuttosto che una risorsa (quale effettivamente è). Risulta in verità del tutto mistificante riconoscere, come non di rado sinora si è fatto, la famiglia e il matrimonio nella politica sociale solo allorché sono problematici, deboli o patologici, come se, e qui plagio una nota massima di Sigmund Freud sulla psichiatria, la normalità umana vada interpretata alla luce di ciò che è patologico.
Penso invero che sia sotto gli occhi di tutti che se oggi si voglia non solo comprendere, ma per tutelare realmente il matrimonio, la famiglia e le persone di cui la famiglia è composta, bisogna rivoluzionare questo Stato, o meglio, una certa visione statolatrica che abbiamo ereditato in Italia da Gentile e da Gramsci e ancora imperante nella nostra società, riconoscendo alla famiglia il suo ruolo originario e originale di soggetto primario del privato-sociale. Infatti lo Stato rischia ancora di rimanere una sorta di formicaio, nel quale i valori della libertà e della personalità spariscono sempre più rapidamente. In particolare, pare che il matrimonio e la famiglia debbano adattarsi allo Stato, se non addirittura a un gretto pragmatismo politico, sacrificandogli la propria libertà, la propria autonomia e la propria intima coesione.
Senza cadere in forse inutili, di certo banali discorsi moraleggianti, penso sia sufficientemente chiaro come lo Stato non sia più in grado di gestire una sempre crescente complessità sociale che trova ben pochi precedenti. E, come è stato ben rilevato dalla più attenta dottrina sociologica, la caratteristica nuova della crisi attuale è che si tratta di una crisi di governabilità, che deriva non da un difetto, ma paradossalmente da un eccesso di volontà di organizzazione, poiché lo Stato vuole imporsi con la propria autorità a istituzioni, come il matrimonio e la famiglia, che, pur dotate di una loro originaria struttura, ne vengono ora private, causando così un disordine nella naturale, cioè umana costituzione della società; quasi si trattasse, con parole di Raymond Boudon, di un ordine che genera disordine.
Tuttavia questa dialettica fra la tesi pubblica del matrimonio e della famiglia quale bene generale, in cui soprattutto lo Stato si pone come punto di riferimento dell’agire etico; e l’antitesi (ora dominante) di una concezione privata del bene, ci pare che non abbia saputo dare coerente risposta ai reali problemi posti dalla famiglia e dello Stato nell’odierna società relazionale. La società postmoderna ormai non sembra più definibile attraverso una contrapposizione alternativa fra pubblico e privato, ma piuttosto per il tramite di processi di continua differenziazione e integrazione delle relazioni sociali che connettono i consociati, al loro interno e verso l’esterno.
E’ peraltro indubbio che la famiglia sia il primo soggetto di tali relazioni sociali e che solo in una logica sussidiaria altri soggetti pubblici ovvero privati possono, o debbono subentrare alla famiglia stessa. Lo Stato e gli enti pubblici non possono cioè sostituirsi all’iniziativa e alla responsabilità delle comunità minori. Ma loro funzione è facilitare l’assolvimento dei compiti di queste, secondo un principio di sussidiarietà orizzontale, tale per cui devono essere le strutture pubbliche a divenire complementari a quelle sociali, come la famiglia o le reti di solidarietà familiare, nel perseguire determinate finalità comuni, dando valore a una soggettività, e correlativa responsabilità sociali, sinora troppo trascurate.
La famiglia costituisce una di quelle autonomie che, nell’ambito della rimodulazione del nostro Stato sociale sulla base dei principi di solidarietà e sussidiarietà, deve essere considerata uno degli strumenti primari all’interno dei quali deve trovare sviluppo la personalità umana nell’orizzonte valoriale che contrassegna la legalità costituzionale repubblicana. E tutto questo va fatto non solo con le belle parole o con scarse misure come le attuali ridicole detrazioni familiari; ma con una politica seria di rilancio della famiglia e della scuola, unica vera premessa per una riforma strutturale dello Stato che non si limiti ai pannicelli caldi (e costosi) delle misure congiunturali che i governi stanno adottando per salvare la “loro” economia, e non quella del Paese reale. Andrea Bettetini
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