Di Salvo Ognibene
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Da “Cosa Pubblica” (il mensile di aprile sui beni confiscati) clicca
“Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto ed i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale”. A dirlo era Pio La Torre, lo stesso che propose la confisca dei beni ai mafiosi. Diventò legge il 13 settembre del 1982, quattro mesi dopo il suo omicidio.
Cos’è un bene confiscato? Quanto ci costa custodirlo? Quanto rendono i beni sequestrati alle mafie?
Un soggetto condannato per mafia, dopo una misura di prevenzione patrimoniale, dal sequestro sino alla confisca, viene privato dei beni mobili ed immobili accumulati illecitamente. Lo stato dopo aver emesso un provvedimento di sequestro a carico di un mafioso, di norma, nomina un amministratore giudiziario che, cura i beni per tutto il processo sino alla sentenza, che può essere, di revoca del sequestro e quindi di restituzione dei beni al mafioso, o di confisca definitiva. E’ stata la Legge Rognoni-La Torre, nel1982, a introdurre la norma che prevede la confisca dei beni frutto dell’illecita accumulazione di ricchezze provenienti dalle attività criminali mafiose.
Ci sono voluti quattordici anni ed una legge di iniziativa popolare per destinare, o meglio restituire, questi beni alla società. Questo è avvenuto con la Legge 109/96 dopo che l’associazione Libera raccolse un milione di firme.
Il terzo passo legislativo importante è stato nel 2010 con l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con sede principale a Reggio Calabria e con a capo un Prefetto. Il suo compito è quello di centralizzare la gestione dei beni confiscati alla mafia e di verificare che i soggetti che sono risultati assegnatari dei beni, provvedano al loro utilizzo conformemente alle finalità per le quali si è proceduto alla destinazione, pena la revoca della stessa. Peccato che però quest’Agenzia non sia stata dotata sufficientemente di personale e di fondi e per questo ha già rischiato la chiusura.
Adesso cerchiamo di capire qual è lo stato di salute dei 13.000 beni confiscati in Italia e intanto sfatiamo un mito, i beni confiscati possono essere venduti, anche se a particolari condizioni.
Circa l’ 80% degli immobili presenta gravami tra cui i crediti garantiti da ipoteca che di fatto bloccano la destinazione per uso sociale del bene confiscato. Dal sequestro all’assegnazione possono passare anche 12 anni. Dal sequestro, alla confisca definitiva, invece, passano dai 5 ai 9 anni a causa dei lunghi tempi dei processi. Durante la fase processuale, chi paga i mutui accesi dai mafiosi? Di norma nessuno e così, con il tempo, crescono gli interessi di mora per il mancato pagamento delle rate e quando, a sentenza passata in giudicato, il bene entra tra le proprietà dello Stato, questo ne diventa debitore nei confronti della banca e quindi deve risolvere il mutuo, pagando.
Altra questione da affrontare è che buona parte degli immobili sequestrati e poi confiscati non vengono assegnati per problemi di natura giuridico-amministrativa, altri vengono abbandonati al loro stato di degrado, altri ancora vengono comunque utilizzati dagli stessi mafiosi o dalle loro famiglie.
Per quanto riguarda le aziende (quasi 2000), invece, queste hanno spesso vita breve, soprattutto quelle commerciali che quasi sempre sono destinate a fallire dovute anche al fatto che il mafioso può dirottare la clientela. Senza la tutela dei boss molte ditte non sono più competitive, vanno fuori mercato. Arriva lo Stato e le imprese affogano nei debiti.
È il fallimento italiano della vera lotta alle mafie. Oltre ad un danno economico, la gestione fallimentare dei beni confiscati, comporta un danno sociale e d’immagine per quello stesso Stato che giustamente si è impossessato di quei beni. Il tesoro vale quasi 2 miliardi di euro ma non si riesce a farlo fruttare. Per colpire veramente al cuore i patrimoni mafiosi però bisognerebbe colpire il riciclaggio ma la nostra normativa è indietro anni luce. Una corretta gestione dei beni confiscati alle mafie darebbe fiducia e nuova linfa all’anima di questo paese, darebbe un messaggio incredibile soprattutto alle nuove generazioni “le mafie possono essere sconfitte e con i loro ingiusti tesori lo Stato produce ricchezza, da lavoro”.
Nel 2013 però è ancora utopia.
Cosa bisognerebbe fare:
– Istituire strumenti di finanza agevolata e di incentivazione fiscale, introdurre facilitazioni contributive per il mantenimento dei dipendenti, prevedere un welfare per ricollocare i lavoratori in caso di chiusura dell’attività
– Abrogare la disciplina dell’autofinanziamento, creare un fondo per la gestione dei beni, utilizzare il contante sequestrato e reinvestirlo negli immobili e nelle aziende
– Accelerare la destinazione dei beni gravati da ipoteca con una procedura più semplice
– Stipulare dei “patti” con le banche, smettere di pagare gli interessi sui mutui relativi ad immobili confiscati ai mafiosi
– Formare dei veri e propri “manager”, amministratori giudiziari competenti che siano in grado di fare il loro mestiere fino in fondo e di programmare piani a medio e a lungo termine per le aziende confiscate
– Creare una vera e propria “anagrafe” dei beni confiscati, monitorare costantemente i beni, segnalare le emergenze ed intervenire tempestivamente
– Approvare la legge d’iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro” che ha lanciato la Cgil – per la tutela di tutti i dipendenti delle aziende sotto confisca e per garantire loro gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori dei settori in crisi.
Queste proposte non basteranno ma sarebbe già un buon inizio.
Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto “L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti”, un libro sui rapporti tra mafia e Chiesa che ha raccolto la testimonianza di diversi religiosi. www.eucaristiamafiosa.it