La proposta: Lo Statuto Siciliano va adeguato a un nuovo sistema di rapporti fra ordinamento interno, internazionale e comunitario. Il progetto serve all’Italia e all’Europa per avere rapporti più stretti con i Paesi del Nord Africa.
Con le elezioni regionali e la formazione del governo Crocetta si è avviato in Sicilia un nuovo ciclo politico ed istituzionale. In questo contesto, pare necessario ripensare l’autonomia speciale siciliana correggendo l’impostazione tutta riparazionista dello Statuto, prevalsa nell’immediato dopoguerra di fronte alla minaccia separatista.
L’autonomia speciale, insomma, va adeguata, in particolare, ad un nuovo sistema di rapporti fra ordinamento interno ed ordinamento internazionale, e soprattutto tra ordinamento interno e ordinamento comunitario. Ciò deve portare a riconsiderare non solo le competenze riconosciute alla autonomia speciale, ma anche la sua stessa mission originaria.
Questa esigenza è particolarmente evidente in una regione come quella mediterranea da secoli attraversata da flussi migratori e da traffici consistenti che hanno prodotto legami economici e culturali tra i popoli delle due sponde.
Oggi in alcuni Paesi della sponda sud, una volta cacciati i dittatori che pure hanno avuto il merito negli anni passati di realizzare importanti riforme sociali, grandi masse popolari rivendicano le libertà politiche e il rispetto delle carte dei diritti internazionali ritenendo che esse siano compatibili con l’Islam. Si tratta di saper valorizzare queste novità, promuovendo una politica della cooperazione che consenta il diffondersi nella regione di uno sviluppo condiviso tra i Paesi delle due sponde.
Occuparsi di più del Mediterraneo, alla luce dei cambiamenti epocali che si sono prodotti dopo le rivolte della primavera araba, significa, per l’Europa, affrontare alla radice questioni che hanno prodotto instabilità politica nella regione. Nuovi assetti politici, in questa regione del Mediterraneo, potrebbero facilitare un processo di cooperazione “paritario”, finora frenato da una concezione eccessivamente eurocentrica della crescita.
Di fronte a questo scenario, l’autonomia speciale siciliana, se rimeditata, può costituire un’opportunità. Si tratta di essere fino in fondo convinti del fatto che la Sicilia possa assolvere ad un ruolo significativo nel Mediterraneo come attore in grado di promuovere, assieme ad altri soggetti istituzionali, politiche dello sviluppo basate su un rapporto paritario tra governi regionali, governi locali, istituzioni sociali di Paesi diversi.
Lo Statuto siciliano non abilita la Regione a svolgere attività internazionale a qualunque titolo. Da questo punto di vista molto di più è stato riconosciuto alla Sardegna. È questo un limite che però può essere superato soprattutto sul terreno dell’iniziativa politica, utilizzando strumenti che adesso facilitano la cooperazione transfrontaliera ed interregionale. Si tratta di strumenti che danno all’autonomia politica delle regioni una nuova dimensione. E’ sempre più diffusa la consapevolezza a livello europeo che vi sia un preciso rapporto tra l’efficacia dell’autogoverno locale e la capacità di soggetti dotati di autonomia politica, diversi dagli Stati, di stabilire relazioni internazionali finalizzate a realizzare forme sempre più evolute di cooperazione economica e culturale.
Lo strumento dell’euroregione da questo punto di vista pare essere uno strumento congruo. Esso è stato pensato per promuovere la cooperazione transfrontaliera, quindi una cooperazione limitata alle regioni europee in vista del conseguimento di una maggiore coesione economica.
Le esperienze finora fatte stanno a indicare che i modelli organizzativi possono essere i più diversi, fermo restando i principi secondo in base ai quali la identità delle euroregioni è separata da quella degli Stati di appartenenza dei diversi soggetti membri pur essendo la euro regione sprovvista di personalità giuridica di diritto internazionale.
Il quadro di riferimento giuridico per la cooperazione transfrontaliera è costituito dalla Convenzione adottata in seno al Consiglio d’Europa “Convenzione quadro europeo sullo cooperazione transfrontaliera delle collettività e autorità territoriali”, firmata a Madrid il 21 maggio 1980, e dai suoi protocolli aggiuntivi del 1995 e del 1998. Essa prevede come ambiti di applicazione specifici per la cooperazione: lo sviluppo regionale, urbano e rurale; la protezione dell’ambiente; il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi resi ai cittadini; l’aiuto reciproco in caso di sinistri.
Di fronte alle difficoltà incontrate dagli Stati membri nella gestione di questo strumento, l’Ue ha provveduto a emanare un regolamento in un certo senso integrativo della Convenzione di Madrid (Regolamento Ce n. 1082/2006), con il quale ha creato uno strumento di cooperazione territoriale a livello dell’Unione, istituendo il Gruppo europeo di cooperazione territoriale (Gect). Il regolamento per la sua natura, a differenza della convenzione di Madrid, garantisce una uniforme disciplina di cooperazione territoriale.
L’euroregione rappresenta uno strumento importante per realizzare un sistema di governo multilivello che sia in grado di facilitare, di promuovere la cooperazione tra i diversi membri per favorire lo sviluppo. Si tratta di declinare efficacemente il principio di sussidiarietà aggregando identità, regioni ed enti locali, ma anche allargando l’aggregazione ai più diversi interessi di cui possono essere portatori istituzioni private. Il presupposto essenziale perché questa aggregazione funzioni è la condivisione di valori comuni sulla base dei quali costruire rapporti di fiducia tra territori diversi. Si tratta insomma di realizzare un modello di sviluppo territoriale policentrico ed equilibrato per creare coesione economica, sociale, imprenditoriale anche coinvolgendo paesi terzi e istituzioni della società civile.
La Sicilia, quindi, assieme ad un altro Paese membro dell’Ue come Malta, potrebbe realizzare il progetto di un’ “Euroregione del basso Mediterraneo”, che si estenda all’Egitto, alla Libia e alla Tunisia e che potrebbe avere ad oggetto come ambito di interessi: infrastrutture, servizi sociali, agricoltura, turismo, sicurezza, università e cultura, giustizia e sport.
Si potrebbe adottare come modello di riferimento l'”Euroregione adriatica” costituita da Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Albania, Puglia, Molise, Abruzzo, Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia nel giugno del 2006.
L’euroregione, che è stata pensata per promuovere il rafforzamento del processo di integrazione e realizzare la solidarietà europea in attuazione dei principi di sussidiarietà e prossimità, nel caso di un’euro regione mediterranea, potrebbe assegnarsi un orizzonte più ampio, sulla base di una concezione allargata di prossimità. Si tratterebbe di favorire lo sviluppo di regioni di Paesi terzi che hanno sempre mantenuto importanti relazioni culturali ed economiche con uno Stato ed una regione, come Malta e la Sicilia, posti all’estremo confine meridionale dell’Europa. Garantire lo sviluppo di quest’area, e quindi una crescita condivisa, potrebbe contribuire alla stabilità politica di un’area strategica per la stessa sicurezza dell’Europa.
Occorre compiere in un’area complessivamente alle prese con problemi legati allo sviluppo negato o insufficiente uno sforzo comune per cooperare in materia di innovazione, istruzione e formazione. Serve all’Europa, che si candida ad essere un attore globale. avere alle proprie frontiere Paesi politicamente stabilizzati e che guardano all’Ue come ad una potenza mite e generosa, in grado di promuovere nel Mediterraneo un modello di sviluppo che sappia essere rispettoso delle identità locali.
Si tratta di costruire a piccoli passi quella alternativa mediterranea di cui hanno parlato tanti politici e studiosi, da Cassano a Barcellona, a Zolo, i quali ritengono che i percorsi che portano ad una crescita sostenibile nella regione mediterranea non passano attraverso politiche di colonizzazione culturale tendenti ad imporre nei territori della sponda sud modelli di sviluppo tipici della civiltà euro-atlantica.
E perché ciò sia possibile bisogna realizzare un nuovo modello di cooperazione per lo sviluppo affidato a strumenti in grado di garantire via via forme di governance nella regione in grado promuovere una “cittadinanza regionale” nel rispetto dei diritti umani fondamentali ma anche delle diversità. La pace nel Mediterraneo dipende in buona misura dalla possibilità di garantire nei Paesi della sponda sud un vero sviluppo, cioè uno sviluppo autopropulsivo perché affidato ad una vitale borghesia sulla base di un disegno di progresso autonomamente deciso dalle società locali e non suggerito dall’esterno.
Finora il processo di globalizzazione ha generato un’interdipendenza crescente che ha prodotto forti diseguaglianze nella regione mediterranea come nelle altre regioni che costituiscono il sud del mondo. Occorre che la globalizzazione possa diventare una forza positiva. E ciascuno in questo senso deve fare la propria parte.
La Sicilia può avere un grande ruolo ai fini dello sviluppo dei Paesi della sponda sud, grazie alle proprie università e centri di ricerca, al suo sistema delle imprese, alla regione ad autonomia speciale. Si tratta di riuscire a mettere a frutto le grandi potenzialità che il sistema ragione può esprimere per favorire, con contributi non marginali, le grandi trasformazioni del sistema economico e sociale alle quali preludono i processi di transizione democratica che si vanno sviluppando nei paesi teatro delle rivolte della primavera araba.
In questo senso il progetto di un’ euroregione mediterranea serve all’Italia e all’Europa perché si possano avere rapporti più stretti con i Paesi del Nord Africa in via di sviluppo. E’ questo uno dei compiti a cui un’autonomia speciale ripensata può assolvere, liberandosi, anche per tale via, da quel retaggio di rivendicazioni inascoltate e nostalgie che nel mondo della interdipendenza, del governo multilivello finiscono con il produrre ulteriore marginalità. Salvo Andò
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