Il ripensamento Bersani l’avrà avuto durante la notte. Messo con le spalle al muro da una parte degli uomini del suo partito, ma, soprattutto, dalla difficoltà politica nella quale si è venuto a trovare dopo le elezioni, ha avuto un colpo d’ala.
Facce nuove per le presidenze del Senato e della Camera al posto dei predestinati Anna Finocchiaro e Dario Franceschini.
Un triplo segnale: al partito, al popolo del centrosinistra e a quei grillini sui quali ripone le sue ultime speranze di fare un governo.
Laura Boldrini e Piero Grasso si prestavano a questo disegno. Non tanto perché esponenti di una società civile, come comunemente talvolta retoricamente si etichetta chi vuole significare la distanza dalla politica, ma perché protagonisti di quelle istituzioni che fanno parte della storia del nostro Paese. Per l’elezione della Boldrini non ci sono stati problemi. Il Pd alla Camera, merito del porcellum, aveva una sicura maggioranza. Per Grasso invece Bersani ha dovuto tenere il fiato sospeso. Alla fine l’ex procuratore antimafia, pur in modo risicato, ce l’ha fatta.
Con questo si può considerare tutto risolto? Per nulla.
Le Camere hanno i loro presidenti, ma è il governo che ancora non c’è. O meglio, non si vede quale maggioranza dovrà sostenere Bersani o chi per lui. Ed ecco che qui il discorso ci riporta indietro. A quella precarietà di cui il Paese ormai soffre da tempo. Precarietà che è, sì politica, ma sostanzialmente economica. Lo ripetiamo ormai da mesi: le aziende chiudono a un ritmo drammatico, i disoccupati aumentano, le famiglie povere stanno diventando quasi maggioranza nel paese.
La precarietà è una malattia alla quale gli italiani stanno facendo l’abitudine. L’ammalato primo, ad esempio, è il «precario», come uomo, come cittadino. In Sicilia, poi non ne parliamo. Qui da noi siamo riusciti anche a creare i governi precari. Così era quello di Raffaele Lombardo, così è quello di Rosario Crocetta. Nella disgrazia c’è chi si consola: meglio precari che niente. Come sono ora quei politici rimasti a spasso e in cerca di un posticino di consolazione.
Ma al di là di queste riflessioni, cosa in concreto occorre ora aspettarsi? Una soluzione potrebbe essere un esecutivo istituzionale a tempo sostenuto da una maggioranza Pd-Pdl. Il capo dello Stato sembrava orientato a tale soluzione, tanto che ha distribuito bacchettate a entrambe le parti. Giustamente al Pdl per la protesta davanti al palazzo di Giustizia di Milano, saggiamente ai Pm per la serrata caccia al leader del Pdl. Intendeva, forse, allentare le tensioni. Un accordo in ogni caso occorre trovarlo se si vuole andare a nuove elezioni, dovendo eleggere prima un nuovo presidente della Repubblica che sciolga le Camere.
Come si vede, il vuoto di potere continua, nonostante le elezioni a presidenti di Boldrini e di Grasso e i bei discorsi che entrambi hanno fatto. Sui mass media si è tanto parlato del presunto vuoto di potere creatosi nella Chiesa con la rinuncia di Benedetto XVI, e invece 115 cardinali, molti in età avanzata, in 14 giorni hanno saputo dare una forte risposta. Si vede che la Chiesa può fare di questi miracoli, ai quali noi comuni mortali non siamo attrezzati. Anzi dovremo adottare le due parole che il nuovo Papa ha pronunciato: camminare ed edificare. Cosa che da molti anni il nostro Paese non fa. Non cammina, non costruisce. Affoghiamo nella precarietà. Ma per sperare, prendiamo da Papa Francesco un altro invito: non essere pessimisti. Cercheremo di non esserlo. Nonostante tutto.
Domenico Tempio lasicilia
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