A cura di Danilo Serra.
La Guida dei perplessi, considerata tra le opere più incisive e fortunate della Storia della filosofia ebraica, immortale sigillo maturo pro-gettato dall’ingegno polivalente di Mosè Maimonide (1138-1204), non può certamente definirsi trattato sistematico filosofico.
Il suo essere monco di sistematicità è, anzi, un aspetto peculiare da non tralasciare, capace di rendere il testo armoniosamente originale, conferendovi una enigmatica fluidità all’apparenza non semplice da percepire.
<<Sappi che in questa mia opera non è mia intenzione comporre un trattato di fisica, o sintetizzare alcuni concetti della metafisica (…). Il fine di quest’opera è solo (…) quello di spiegare le difficoltà della Legge [la Torah ebraica, i cui fondamenti si trovano nel Pentateuco] e di mostrare i veri significati dei suoi segreti, che sono superiori alle menti del volgo.>> (Mosè Maimonide, Guida dei perplessi, Introduzione).
Scartato il termine “sistematico”, la Guida dei perplessi assume i nobili contorni del “commento” (commento ad Aristotele, commento ‘filosofico’ al Testo biblico…), testo ascrivibile al genere dell’esegesi biblica. Non è un caso se l’imponente scritto medievale, redatto in principio in lingua araba probabilmente nel penultimo decennio del XII secolo (Maimonide visse parte della sua esistenza nella Spagna islamica), inglobi all’incirca 1400 passi biblici esibiti rigorosamente in ebraico. Filosofia e Teologia balenano lungo lo stesso orizzonte ricomprendente. Non c’è assoluta competitività tra ragione e fede; l’una è nell’altra, l’una è nullità senza l’altra.
L’obiettivo esplicitamente dichiarato dall’autore è quello di servirsi dell’ancella filosofia al fine di cogliere e spiegare razionalmente, attraverso argomentazioni logiche, passi del Testo biblico e non solo (la Guida include anche numerosi riferimenti a testi [la Mishnah, il Talmud, i Midrashim] o vocaboli ebraici e aramaici). La filosofia, che in Maimonide si identifica sostanzialmente con la filosofia di Aristotele – nel testo è costantemente presente il riferimento ad Aristotele [il Principe dei Filosofi] come era tramandato dalle scuole arabe, sulla base dei commenti di Averroè ed Avicenna – si [im]pone in termini strumentali, demiurgici, cosmogonici. E’ una sofia, “ciò che non può essere diversamente da ciò che è”[1], elevatasi a strumento ermeneutico, chiamata (Beruf) a compiere decisamente la non facile missione di ‘dis-velamento’ (A-létheia), di ‘apertura’, di ‘superamento’ delle difficoltà vigenti e abitanti la ‘civitas’ della Legge/Torah, mostrandone sapientemente i veri, fissi, fondanti significati. Il filosofo diviene così il Traduttore che traduce le immagini del Testo in astrazioni, il Demiurgo capace di modellare il sensibile del Biblico nell’intelligibile del Concetto, il Pendolo che oscilla continuamente tra la umana natura e la divina, tra il più chiaro e il più oscuro, tra il fisico e il meta-fisico. Dinanzi alle difficoltà (del Testo biblico) la filosofia non può arrestarsi. Il filosofo, aristotelicamente inteso, procede nella sua opera di disintrecciamento del nodo. Gli stessi sapienti, precisa Aristotele nel libro A della Metafisica, si sono misurati con le difficoltà e hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia[2], quest’ultima testimone di una dimensione in cui riconosco di non essere a conoscenza (il “so di non sapere” socratico). Tuttavia, nonostante questo blocco (io non conosco e sono meravigliato) derivato dall’aporia, i sofoi sentirono il bisogno (“qualcosa” li chiamava, bisogna cogliere ed esaminare le difficoltà) e l’esigenza di procedere[3].
Il blocco non è annientante, non è silente. Il blocco non mi blocca. Esso diviene salto, slancio dinamico, vis indissolubile. Filosofare è s[forza]rsi, giocare e mettersi in gioco affrontando con veemenza il próblēma (πρόβλημα), la ‘sporgenza’, ‘ciò che sporge’, ‘ciò che mi urta’ e, per tale ragione, mi sommuove, mi eccita e mi libera rendendomi attivo e pensante.
Vincere la perplessità; ammutolire l’incertezza. Verso la chiarezza.
E’ forte l’esigenza in Maimonide di mettere per iscritto un’opera che possieda il carattere di ‘guida’, ‘soccorso’, ‘invito’, ‘pro-vocazione’. Una provocazione che l’intellettuale ebreo indirizza non all’intera massa popolare, ma ad una relativa e minore parte. La Guida dei perplessi, d’altronde, non è un testo democratico; e non vuole neppure esserlo. L’autore si rivolge essenzialmente a coloro i quali ha impresso, fin dal titolo iniziale, la statica nomea di “perplessi”[4]. Questi, nonostante abbiano studiato la filosofia e le altre scienze (matematica, fisica, logica…) e conoscano i testi fondanti della tradizione ebraica, si ritrovano incapaci di decodificare le metafore oscure e i termini equivoci (ovvero aventi più significati) contenuti nei libri profetici[5]. Rimane ingabbiato nella perplessità sia chi segue solo il suo intelletto, sia chi si affida semplicemente alla sua fede. L’unità inscindibile di ragione e fede permette all’essere umano di vincere questa vulnerabile frattura e di venire ripetutamente illuminato dal lampo in una notte tenebrosissima, “al punto che è come se fosse sempre alla luce, sicchè la notte per lui diventa come il giorno – e questo è il grado più grande dei profeti, del quale si dice nella Bibbia [4,I]: ‘tu, sta’ qui presso di Me’ e si dice anche: ‘La pelle del suo volto era raggiante, ecc.’“.
<<Ma il fine di quest’opera non è di far comprendere tutte queste cose al volgo, nemmeno ai principianti, e neppure di insegnarle a chi non studia altro che la scienza della Legge, vale a dire il diritto. Infatti il fine di quest’opera e di tutte le opere ad essa simili è la scienza della Legge nella sua realtà, o piuttosto, il fine di quest’opera è di dare un avvertimento ad ogni uomo religioso che si sia umiliato e abbia conseguito una credenza certa nella nostra Legge, sia perfetto nella pratica religiosa e nella morale, e abbia studiato le scienze filosofiche e conosca i loro contenuti.>> (Mosè Maimonide, Guida dei perplessi, Introduzione).
La Guida dei perplessi, opera comprensibile solo da chi possiede determinati strumenti necessari (i perplessi), è un commento al Testo biblico e ai libri profetici, un testo filosofico, esegesi biblica. Al centro dell’attenzione è collocata la Torah, il Libro Sacro [l’unico] il Testo-Unità nel quale convergono e si riconoscono miriadi di com-unità ebraiche sparse per l’intero globo. Maimonide, invitando allo studio minuzioso e approfondito della Scrittura, definisce il ‘divino’ Testo biblico possessore di un senso rivelato, letterale, immediatamente visibile a tutti, e di un senso oscuro, più nascosto e complesso, che coincide con quello propriamente “filosofico”. Entrambi sono sensi preziosi o, per riprendere una suggestiva metafora architettata dal pensatore ebreo nella sua introduzione alla parte prima, entrambi sono metalli preziosi, anche se l’oro (il senso esoterico/filosofico) è più prezioso dell’argento (il senso letterale).
[1] <<Tutti ammettiamo che ciò di cui abbiamo scienza non può essere diversamente da quello che è: ciò che invece può essere anche diverso, quando è fuori dal campo della nostra osservazione, non si sa più se esiste o no.>> (Aristotele, Etica Nicomachea, Libro VI 1139b 20).
[2] <<Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo.>> (Aristotele, Metafisica, Libro A 982b 10).
[3] <<Tutti gli uomini per natura tendono [orexis= tensione, torsione, intenzione, desiderio] al sapere.>> (Aristotele, Metafisica, Libro A 980a).
[4] <<Quanto alla presente opera, come ho detto, io mi rivolgo con essa a chi ha praticato la filosofia e conosce veramente le scienze, ma crede anche nella Legge ed è perplesso di fronte ai suoi significati, nei quali i termini ambigui e le metafore creano confusione.>> (Maimonide, Introduzione alla parte prima, Guida dei perplessi).
[5] Con libri profetici Maimonide intende tutti i libri della Bibbia ebraica.
Maimonide con la sua espressione in cui asserisce che la Torah si può leggere sia allegoricamente [ebrei, cristiani e mussulmani] e sia letteralmente [gheulani] ci trasmette il suo livello posto oltre all’ebraismo in quanto M. era entrato all’interno della Gheulah.